L’ipocrisia all’ombra del presepe

Il Natale, quest'anno, è vissuto nelle case degli italiani allo stesso modo che negli ultimi anni, o decenni. La sera della vigilia ci si riunisce di solito in casa dei genitori, che per un giorno almeno e per questo continua a definirsi la casa paterna. Nella stanza da pranzo, o nel soggiorno, si accendono le luci sull'albero, più di rado - ove ci sono anziani che perpetuano per sé o per i nipoti la tradizione - qualcuno ha allestito il presepio. Che proprio la notte del 24 si completa con la collocazione del bambinello nella mangiatoia. Dice il Manzoni: «In poveri panni il figliol compose, e nell'umile presepio soavemente il pose».
Appaiono lontane, dalle preoccupazione e fin dai discorsi che si fanno in questi giorni le polemiche fastidiose che anche quest'anno, come negli ultimi, hanno occupato i giornali su un certo malanimo che colpisce i simboli del Natale. In certe scuole, ce n'è sempre qualcuna, hanno deciso di abolire il presepio, o di non cantare più «Tu scendi dalle stelle» perché qualche maestrina o direttore didattico scopre che ci sono bambini di altra religione da preservare da riti che si immaginano offensivi. Per fortuna, la cronaca fa giustizia spesso di queste scempiaggini. In molte scuole sono le mamme a richiamare a più miti consigli, o al più semplice buonsenso, maestrine, insegnanti, qualche direttore didattico. Nella scuola che ha suscitato più rumore, a Bolzano, è stato il consiglio dei professori, spero con qualche assenza o voto contrario, a fare storie sulla celebrazione della Natività. Se ho capito bene, dal bambinello che scende dalle stelle per finire in una grotta al freddo e al gelo si è passati allo «Still Nacht», ma lassù c'è la latitudine, a dettare legge.
Resta però qualcosa di fastidioso, di non detto. Quelle maestre, quei discenti che si preoccupano dei «bambini di altra religione» si coprono dietro uno spesso velo di ipocrisia. Nessuno pensa, parlando di bimbi di altre religioni, al cinesino di famiglia buddista, all'indiano, o al cingalese induisti, tanto meno al piccolo ebreo e neanche al pargolo di famiglia non credente, che una volta faceva esentare i figli dall'ora di religione. No, quelli che si pongono certi problemi, e macchinano certe scemenze, pensano solo ai bambini di famiglia islamica. Ed è umiliante che siano, come capita, esponenti di quelle comunità a precisare che a loro i canti e i presepi non danno alcun fastidio. Perché intanto sono loro a decidere. E perché in quell'eccesso di zelo e di ignoranza di maestrine così clamorosamente manifesti c'è, magari inconscia, quella voglia di Eurabia che ha agitato gli ultimi anni, e riempito gli ultimi libri, di Oriana Fallaci, amica indimenticata.
Dispiace che i radicali siano andati a fare quel gesto stupido di infilare bambole e bambolotti gay nel presepio di Montecitorio. Possono spiegarla come vogliono, ma il presepio è rivolto a un'umanità che da questi gesti si sente offesa, e dunque l'impresa è una piccola prepotenza. A loro difesa, qualcuno ha detto che si è trattato solo di un «gesto goliardico». È possibile, ma questo tipo di goliardia fa pensare a certi parenti culturali del fascismo, ai futuristi, ai Marinetti, ai Bragaglia, a quei «gesti esemplari» che almeno avevano spesso, dalla loro, il dono dell'intelligenza. E poiché questa volta ad attivarsi sono stati due parlamentari radicali va aggiunto che atti di questa natura non fanno onore a chi è stato mandato in Parlamento a rappresentare ragioni certo migliori.
a.

gismondi@tin.it

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