Prima l’Irak, ora l’Afghanistan: la sinistra pensa solo a scappare

Gli incidenti a Kabul danno fiato all’ala più dura dell’Unione, dai Ds a Prc: bisogna ripensare seriamente il ruolo dell’Italia

da Roma

La «viva preoccupazione» del ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, che segue la situazione «anche perché la nostra ambasciata non è lontana da quella Usa, evacuata». La «preoccupazione» del premier Romano Prodi, condivisa a Bruxelles nel colloquio con Javier Solana, ministro degli Esteri Ue. La preoccupazione di Fulvia Bandoli, della direzione ds, che dopo aver attinto notizie di prima mano da Kabul, conclude: «Se i fatti sono questi, siamo di fronte non solo a comportamenti inaccettabili, ma tipici di una forza occupante che delegittima qualsiasi tentativo di pacificazione. Per questo è urgente ripensare seriamente il ruolo dell’Italia in Afghanistan».
Il «ripensamento» si fa strada. L’aveva lanciato, ai tempi della discussione sul programma dell’Unione, Fausto Bertinotti. «La situazione in Afghanistan è cambiata, bisogna aprire una riflessione». Ma i leader unionisti non se la sentirono di aprire un nuovo fronte dialettico, e nel programma non c’è nessun accenno. Prodi ne ha fatto qualche timido inciso in campagna elettorale. L’episodio di ieri ha reso invece di stringente attualità il tema, proprio mentre Bertinotti, da presidente della Camera, riceveva Gino Strada e il gotha del pacifismo cattolico (Alex Zanotelli, Luigi Ciotti, Tonino Dell’Olio). Incontro che ha consentito al numero uno di Montecitorio di spogliarsi per un attimo del ruolo istituzionale e, «parlando da cittadino italiano», di incoraggiare «l’impegno del governo per il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq, che mi sembra in sintonia con le domande che vengono dalla società». Ma a rendere concreta la linea politica di un «ripensamento» anche sull’Afghanistan ci ha pensato il presidente dei deputati prc Gennaro Migliore: «Oggi come oggi siamo contrari al rifinanziamento delle missioni come sono presentate nel decreto e la nostra posizione resterà la stessa se non ci saranno cambiamenti. Siamo convinti che bisogna ripensare le missioni all’estero, tra cui quella in Afghanistan: dopo anni di guerra, le forze di occupazione di cui noi facciamo parte controllano delle zone limitatissime, è ripreso il commercio di droga e le donne portano ancora il burqa. Dobbiamo considerare se gli accordi fatti con i signori della guerra non hanno portato questi ultimi a spadroneggiare in molte zone del paese».
Per Migliore il ripensamento della missione in Afghanistan consentirebbe anche un «maggiore impegno nelle cosiddette guerre dimenticate, tipo il Darfur». Una linea condivisa dal capo dei senatori di Prc, Giovanni Russo Spena, che sottolinea come la rivolta di Kabul non sia «violenza terrorista, ma mobilitazione di massa contro la presenza americana». «Inqualificabile il comportamento delle truppe Usa», accusa anche Pietro Folena, che predica una valutazione «laica e pacata» sul ritiro. Che la pacificazione americana sia fallita è il parere di Mauro Bulgarelli, senatore dei Verdi, mentre la sua collega Tana de Zulueta scorge nella rivolta «l’indignazione e disperazione di quel popolo».

«Fucili contro sassi: è questa l’idea di esportazione della democrazia con le armi che ha Bush?», si chiede il comunista Marco Rizzo. Pronto al ritiro e critico rispetto a un’«asimmetria che sottintende un assioma: il tenore di vita degli americani non è negoziabile, mentre la vita di qualche migliaio di iracheni o afghani vale poco o nulla».

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