L’Italia lavora dietro le quinte per la pace e il dopo-Gheddafi

RomaLa Francia è stata la protagonista aggressiva in queste settimane di guerra in Libia. Ma è stata l’Italia il primo interlocutore dell’Onu e degli Stati Uniti. Il segretario generale Ban Ki Moon diede mandato a Silvio Berlusconi di attivarsi con Muammar Gheddafi per chiedergli di interrompere le violenze contro i civili. Pregò anzi il premier italiano di fare una telefonata al Colonnello e di convincerlo a tirarsi indietro. Prima di lui, era stato Barack Obama a chiamare Berlusconi per una consultazione. Il presidente americano invitò il premier a disegnargli uno scenario della situazione in Libia nei primi giorni della protesta al regime. Aiutaci a capire, disse Obama a Berlusconi, quello che avvenendo.
Tutti questi retroscena non sono stati sinora mai rivendicati dal governo italiano, ma il ruolo determinante e sobrio dell’Italia sulla scena internazionale sta emergendo in questi giorni e in queste ore. Il quotidiano britannico Daily Mail, citando fonti d’intelligence, ha scritto che il figlio di Gheddafi Seif el-Islam avrebbe tentato di mettersi in contatto con i servizi inglesi e italiani. Cautela sulle mediazioni in corso arrivano dal ministro degli Esteri Franco Frattini, che però non smentisce appunto il lavoro silenzioso di Roma nella crisi libica: «È noto che il governo italiano sta lavorando per una soluzione di pacificazione e per il dopo Gheddafi. Ma su questi contatti, più o meno segreti, non è il caso di entrare in dettaglio». Domani Frattini incontrerà alla Farnesina il responsabile per la politica estera del Consiglio Nazionale di Transizione libico, Ali al Issawi. Il Cnt vuole che l’Italia si faccia mediatrice, che abbia un ruolo più importante e chieda a Gheddafi di ritirarsi. Ma fu appunto Ban Ki Moon il primo a interpellare Berlusconi. La richiesta al Presidente del Consiglio è stata rivelata ieri proprio da Frattini: la conversazione con Gheddafi si concluse «senza risultati positivi». Questo avveniva prima del vertice di Parigi in cui Nicolas Sarkozy annunciò l’avvio dei raid. Il Colonnello fu brusco, si mostrò offeso e non collaborante. Berlusconi riferì a Ban Ki Moon che non c’era nulla da fare. «Non è comunque una fase in cui Gheddafi possa ascoltare - ha chiarito Frattini - ma è la fase in cui deve essere persuaso che l’unica via possibile è lasciare».
Ieri Berlusconi ha avuto una «lunga e cordiale conversazione» con il premier britannico David Cameron. I due primi ministri si sono lasciati con la promessa di tenersi «in stretto contatto». Fino a qualche mese fa sarebbe stata più naturale una conversazione Berlusconi-Sarkozy, ma il canale preferenziale di dialogo per l’Italia non sembra davvero essere più la Francia da quando Parigi ha assunto la linea d’attacco nella gestione della crisi in Libia.
Uno dei nodi in questo momento è l’ipotesi di armamento dei ribelli. L’Italia ha chiarito di non essere d’accordo, il primo ministro francese François Fillon, in una intervista con il Corriere della sera, ha spiegato che la Francia non ha un’intenzione di questo tipo. Il ministro della Difesa britannico Liam Fox, invece, ha avvertito su Al Arabiya che «la risoluzione Onu permette di armare i rivoltosi».
Gli Stati Uniti continuano a mantenersi molto prudenti. Il Washington Post ha pubblicato anzi ieri un lungo articolo sullo scetticismo dell’intelligence Usa per la mancanza di informazioni sui leader ribelli, a partire dalla loro identità. Il segretario alla Difesa, Robert Gates, ha descritto i capi della rivolta come «un gruppo assai disparato e molto frammentato».
Ieri è stata anche la giornata del giallo delle cifre sul raid Nato in cui sarebbero morti civili libici, addirittura 30 per Al Jazeera, mentre i ribelli denunciano dieci perdite da fuoco amico. Gli aerei dell’Alleanza Atlantica hanno diritto «a difendersi» se qualcuno spara contro di loro, ha chiarito la portavoce della Nato, Oana Lungescu.
Nelle ultime ventiquattr’ore nove missioni sono state condotte dai mezzi italiani (12 aerei e 4 navi) messi a disposizione della Nato per l’operazione Unified Protector.

È stato poi assegnato dalla Ue all’Italia il comando della missione militare umanitaria europea Eufor. Il quartier generale sarà a Roma sotto la guida del contrammiraglio Claudio Gaudiosi, numero due del Coi, il Comando interforze.

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