«L’Italia? Nel design è 10 anni avanti a tutti i concorrenti»

Marco Cattaneo ha creato a Milano Momo Design, un centro stile per piccole e medie imprese

Ha creato nell'81 un centro stile quando non era di sua proprietà, l'ha seguito e sviluppato sfornando idee che hanno avuto successo, ha continuato a lavorarci anche quando sono arrivati nuovi padroni, alla fine è riuscito a farlo diventare suo. Comprandolo. Ha allora buttato alle ortiche il ruolo di manager e nel 1999 ha indossato i panni dell'imprenditore, iniziando a 53 anni suonati una nuova avventura.
Marco Cattaneo, pavese con innovazione e marketing nel Dna, ha poi dato a quel centro stile, che da sempre si chiama Momo Design, una nuova pelle lanciandolo nel vasto mondo dell'industrial design. «Vendiamo progetti - commenta - Siamo infatti una società creativa che dà valore aggiunto ai prodotti. Prodotti di altri». Come dire: noi offriamo alle piccole, medie e grandi imprese quello stile inconfondibile del made in Italy che permette di non temere la concorrenza dei cinesi.
Quel volante della Ferrari. È una frase piuttosto impegnativa. Anzi, molto impegnativa. Ma non per Marco Cattaneo il quale, nella sua vita più che trenntennale da manager della Momo, è riuscito a trasformare un volante ideato per le auto da corsa e usato dalla Ferrari, quindi un volante dal diametro più piccolo e dall'impugnatura più spessa del solito, in un prodotto adatto alla guida di tutti i giorni. Ed è riuscito a venderlo in un mercato difficile come quello giapponese, montando nelle loro vetture un volante con lo spessore ancora più grosso rispetto a quelli usati nel resto del mondo. Insomma, ha avuto successo perché ha fatto sognare gli automobilisti giapponesi che si sono sentiti come tanti samurai.
Il casco tecnologico. Anche nei panni di imprenditore e di proprietario della Momo Design, Marco Cattaneo cerca di realizzare con i suoi progetti un matrimonio perfetto tra design e tecnologia. Così studia con Motorola un casco per motociclisti, di nome Fighter e ispirato stilisticamente a quello degli elicotteristi, con il bluetooth incorporato, cioè con quel marchingegno che in questo caso permette il collegamento senza fili tra il casco e il telefono. Una comodità incredibile per chi si muove sulle due ruote.
Progetta poi per l'americana Logitech una serie di joypad per le playstation dei ragazzi con una impugnatura dal comfort innovativo. Realizza proiettori da parete, zaini con tessuti tecnici, sedie reclinabili, casse stereo per la casa in alluminio e ciliegio, elettrodomestici, interi concept store, acquari, per un cliente di Hong Kong studia persino un ferro da stiro dal design avveniristico. E poi abbigliamento sportivo in tessuti particolari, giubbotti con una serie di accorgimenti per tenere, ad esempio, il cellulare o altre cose, stivali, orologi e occhiali in titanio. Dice: «La tecnologia è ormai scontata, ce l'hanno tutti. Quello che dà invece il valore aggiunto è il design».
Classe 1936, figlio di un dentista pavese e terzo di tre fratelli, Cattaneo si laurea in scienze politiche a Pavia, inizia in un’aziendina farmaceutica occupandosi di marketing, entra quindi alla Young & Rubicam, una delle più importanti agenzie pubblicitarie americane e la prima ad approdare nel 1970 a Milano con ben 149 dipendenti («io ero il numero 145»), va poi alla Isolabella (liquori) come direttore marketing. E un giorno incontra un ex compagno di università, Gianpiero Moretti, il quale è un giovanotto milanese che appartiene a una famiglia benestante svizzera e corre nella gran turismo vincendo anche un campionato italiano ma ha il sogno della Formula 1. Sogna cioè di emulare i campioni di allora, Jackie Stewart e John Surtees. Ha un'aziendina che porta in parte il suo nome (Momo vuol dire Moretti Monza), vende volanti e ruote per le auto da corsa ma le vendite non decollano. E chiede a Cattaneo di dargli una mano. Cattaneo, altro grande appassionato di Formula 1 (nel suo attuale ufficio, vasto come una piazza d'armi, tiene uno vicino all'altro un biliardo e una Lamborghini da corsa), non se lo fa ripetere due volte: rifiuta una offerta della Ferrero, quella del cioccolato, e va alla Momo con il compito di ristrutturarla e lanciarla. È lui che inventa lo slogan fortunato che aprirà ai volanti Momo le porte del vasto mercato dei giovani: «Guida anche tu con un volante studiato da un pilota». E le vendite si impennano.
Centro stile del lusso. Nell'81 Cattaneo crea il centro stile, la Momo Design, che all'inizio è orientato al settore dell'auto e in seguito si apre anche al lusso. Sono infatti realizzati splendidi orologi da collezione, borse per il golf, valigie, occhiali, persino un bicicletta con i cerchioni delle ruote in legno. L'azienda va bene, ha più di mille dipendenti e un fatturato di 130 miliardi delle vecchie lire, lui trova anche il tempo per occuparsi di antiquariato, il suo hobby, e per collezionare cornici di quadri (ne ha più di trecento, per lo più in qualche scantinato). Poi Moretti acquista la Baglietto, l'azienda di Varazze che fa yacht. E da quel momento il vento cambia. Risultato: nel 1996 il gruppo Momo, con un giro d'affari consolidato di 104 miliardi, viene acquistato da una multinazionale americana con sede a Tampa, in Florida. È la Breed Tech, specializzata in airbag. Cattaneo resta sino al '99. Poi esce dopo avere acquisito il marchio della Momo Design per tutto quello che non è macchina. E mentre da allora la Momo cambia altre due volte proprietà, Cattaneo ricomincia da zero con la Momo Design facendo entrare nella squadra anche i due figli, entrambi laureati in scienze politiche: Paolo, classe 1969, single, un anno in Spagna e tre negli Stati Uniti, è il responsabile dei rapporti con i licenziatari; Eleonora, 1971, sposata con un pubblicitario, si occupa invece dell'immagine dell'azienda.
L’impresa di creativi. Cattaneo, che continua a fare ogni giorno il pendolare con Pavia, stabilisce la sede della Momo Design a Milano, in via Meda, tra una serie di capannoni ristrutturati ad arte. L'azienda ha 15 dipendenti, di cui dodici architetti e designer. È un'impresa, quindi, essenzialmente di creativi. Commenta: «Ci divertiamo a pensare». E in che modo? Rivisitando per conto di terzi oggetti e indumenti quotidiani con stile, con creatività, con grande cura per i dettagli, con passione nella ricerca dei materiali. Il fatturato è di 1,5 milioni di euro, realizzati per il 70% all'estero. Quattro i negozi, tutti in franchising: Milano, Tokyo, Hong Kong, Città del Messico. «Siamo solo all'inizio», spiega il figlio Paolo, sottolineando come l'azienda punti ora «a un lifestyle di qualità». Lo slogan dice: «When techonology becomes design», quando la tecnologia diventa design. La tecnologia piegata cioè all'uso comune. «Siamo degli artigiani del quotidiano meno banale», chiarisce Eleonora. Ed è una grande opportunità per quelle aziende che vogliono competere e non farsi sopraffare dalla concorrenza.
Il ragionamento di Marco Cattaneo è molto lineare: «Il design continua a essere una punta di diamante nel sistema Italia, può ancora dettare legge nel mondo per i prossimi dieci anni senza problemi. È un'arma che abbiamo e che gli altri non hanno. Ma curiosamente i produttori italiani, ad eccezione di quelli della moda e dell’abbigliamento, non utilizzano il design. Quasi non lo conoscono e continuano così a realizzare prodotti uguali gli uni all'agli altri perché ormai la tecnologia ce l'hanno tutti. Prodotti che poi vengono copiati da cinesi e coreani. Ma se invece scoprono l'industrial design, se invece capiscono che con il design possono offrire un prodotto con un valore aggiunto che gli altri non hanno, allora molte imprese del Nord-Est ma anche del resto del Paese potrebbero salvarsi e continuare a svilupparsi. A questo punto non è infatti più importante dove il prodotto viene realizzato, può venire dalla Romania o dalla Cina, non è un problema.

Perché quel prodotto viene poi rivisitato da un centro stile italiano e subito diventa diverso, unico. Qui c'è la testa mentre il braccio può essere ovunque. E prima che i cinesi ti possano copiare il design, la testa, ce ne vuole di tempo... ».
(58 - continua)

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