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L’ombra della camorra sugli attacchi a Lotito

Massimo Malpica

nostri inviati a Napoli

Piove su Claudio Lotito, già alle prese con lo scandalo del calcio sporco. Ma stavolta potrebbero bagnarsi, e di parecchio, i suoi nemici: a cominciare da Giorgio Chinaglia per finire con alcuni esponenti della Curva Nord laziale.
Sarebbero cinque infatti gli ultrà intercettati e a questo punto indagati in una nuova inchiesta sul fronte Lazio del pm Cennicola, nata dall’esposto-denuncia per estorsione del presidente della Lazio. Un filone che - dopo l’incontro di ieri a Napoli tra gli inquirenti - è destinato ad incrociarsi con gli altri due procedimenti che vedono indagato l’ex centravanti biancazzurro. Nel primo, aperto nella città partenopea ad opera dei magistrati della Dda, Raffaele Cantone e Alessandro Milita, si indaga per riciclaggio perché si sospetta che Long John abbia agevolato in qualche modo l’attività camorristica del clan dei casalesi; la seconda, nella capitale, per aggiotaggio sul titolo della SS Lazio, con gli annunci ripetuti di una sua acquisizione che aveva provocato sbalzi sul valore delle azioni. L’ipotesi su cui stanno lavorando a questo punto più magistrati è quella di un possibile «raccordo» tra tre elementi. L’aspirazione dell’entourage di Chinaglia a rilevare la Lazio (pagando 21 milioni di euro, per la Dda frutto del riciclaggio di denaro sporco in Ungheria); la violenta contestazione in atto da mesi contro Lotito da parte degli ultrà, nonostante la squadra abbia raggiunto risultati lusinghieri; la criminalità organizzata.
In sintesi, indagando sull’estorsione in danno di Lotito, sarebbero emersi contatti diretti fra Chinaglia e i capi ultrà sotto inchiesta nella capitale, mentre all’ombra del Vesuvio si vanno stringendo gli accertamenti sui rapporti tra l’ex-centravanti e l’imprenditore Giuseppe Diana, indagato per associazione camorristica ed estorsione, ritenuto un prestanome del clan dei casalesi. Diana è titolare della Domizia Gas a Mondragone e del Vecchio Mulino a Grazzanise. Ambienti vicini alla Lazio Calcio ricordano che l’imprenditore era stato proposto da Chinaglia come sponsor della squadra. Diana, spiegano gli inquirenti, è cognato di Sergio Rossi, direttore generale della Eco4, società che aveva l’appalto della raccolta dei rifiuti a Mondragone, finita sotto la lente d’ingrandimento dell’Antimafia per presunti legami col famigerato clan dei casalesi e della cosca mondragonese dei Fragnoli. Spulciando i carteggi della Dda, si scopre che l’industriale ha depositi bancari in Ungheria per decine di milioni di euro: una somma considerata «assolutamente sproporzionata rispetto alle attività lecite del Diana - scrivono i pm nella loro indagine - e ritenuta evidentemente di pertinenza e/o provenienza dei sodalizi camorristici di riferimento dell’indagato».
Il problema sarebbe stato quello di far rientrare lecitamente in Italia quei soldi sporchi. E a questo punto - sospetta la magistratura - si sarebbero contattati vecchi amici di Diana: Guido Carlo Di Cosimo e Giancarlo Benedetti, assieme a Chinaglia e a un vecchio estimatore del calcio italiano, il finanziere ungherese Zoltan Szilvas, rappresentante di una industria farmaceutica che già in passato tentò senza fortuna di acquistare il Marsala, il Benevento, la Triestina ed il Lanciano. Szilvas, comunque, non risulta indagato.
Chinaglia si è detto assolutamente estraneo ai fatti contestatigli. Resta il fatto che davanti all’intreccio delle indagini, i magistrati abbiano aguzzato la vista, aprendo un nuovo filone sulla possibilità che il cerchio ultrà-Chinaglia-casalesi potesse chiudersi. Specie perché, scavando in precedenti che dimostravano connessioni tra tifo organizzato e delinquenza comune, sono tornate in primo piano vecchie storie. Vicende per le quali si cercherebbe di capire se un ruolo possa averlo svolto un capo tifoso laziale, già condannato con sentenza definitiva per traffico di stupefacenti assieme ad appartenenti ad un noto clan camorristico. E, ancora, protagonista di scontri con le forze dell’ordine in svariate occasioni e promotore di iniziative tese - sostengono in Procura - a screditare l’immagine delle istituzioni.
Contestazione anti-Lotito, allora, legata all’operazione riciclaggio tentata da Diana? Affermarlo, allo stato, è prematuro e forzato. È un’ipotesi di lavoro per i pm che puntano l’attenzione sulla concomitanza fra il tentativo di acquisizione della società da parte di Chinaglia e l’intensificarsi della protesta contro il presidente, anche con aggressioni a radio pro-Lotito e alle bombe carta lanciate l’altro ieri contro i suoi uffici. È infine allo studio anche la singolare coincidenza tra l’emergere della «chiamata alle armi» e le dichiarazioni pro-Pisanu di Lotito.

Che si dichiarò in completa sintonia con i provvedimenti annunciati dal titolare del ministero dell’Interno subito dopo l’aspro duello a colpi di striscioni, all’Olimpico, tra due tifoserie notoriamente ostili fra di loro, soprattutto per motivi politici: quella «rossa» del Livorno, quella «nera» della Lazio.

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