L’Opec taglia la produzione ma il petrolio scivola ancora

L’Opec annuncia un severo taglio alla produzione petrolifera e il prezzo del greggio, per tutta risposta, precipita. Ieri l’Organizzazione dei produttori che fornisce oltre il 40% del petrolio consumato al mondo, si è riunita ad Orano, in Algeria, ed ha annunciato la decisione di ridurre di altri 2,2 milioni di barili al giorno, che andranno ad aggiungersi al taglio di 1,5 milioni annunciato ad ottobre e ad altri 500mila barili di settembre. In tutto 4,2 milioni di barili in meno rispetto al massimo ufficiale di non molti mesi fa. La produzione giornaliera dell’Opec dovrebbe così scendere a 24,845 barili al giorno.
È stata una giornata piena di attese e di malintesi: il risultato è stato un’oscillazione delle quotazioni petrolifere che in mattinata sono salite, per poi ridiscendere nel pomeriggio. Ma andiamo con ordine. In inizio di giornata il prezzo del petrolio era risalito a 45 dollari, proprio sulle attese di un deciso taglio alla produzione. Anche la presenza al vertice del rappresentante russo era un segnale importante: Mosca appoggiava la riduzione. Nel pomeriggio l’Opec annunciava i tagli, ma c’era un malinteso: alcune testate, tra cui l’americana Cnbc, parlavano di una riduzione di oltre 4 milioni di barili (equivocando sulla somma di tutti i tagli degli ultimi mesi), e non di 2,2 milioni. Risultato: dopo un primo mini-choc dato dalla cifra di 4,2 milioni di barili, quando si è scoperto che il calo produttivo sarebbe stato «solo» di 2,2 milioni (si tratta in ogni caso di un taglio record), i prezzi hanno ricominciato a scendere. «Dovevamo fare qualcosa - ha detto il presidente dell’Opec, Chakib Khelil - spero di avervi sorpreso». Ma è stato preso in contropiede. I mercati restano però dubbiosi sulla capacità dell’Organizzazione di attuare realmente la riduzione annunciata. Anche perché i Paesi produttori hanno varato piani di sviluppo (e non solo di sviluppo) ambiziosi e costosi: ora li devono finanziare e tutti cercheranno di portare a casa il massimo possibile. E c’è un altro aspetto che non può essere trascurato: gli esperti del settore ritengono che almeno nei primi sei mesi del prossimo anno la crisi sarà talmente severa da incidere profondamente sui consumi petroliferi a livello mondiale. I tagli, quindi, anche se attuati, potrebbero avere uno scarso impatto. Il light crude è sceso così a New York vicino ai 40 dollari (40,20), toccando i minimi dal 14 luglio 2004. Dal record di 147,27 dollari raggiunto l’11 luglio, i prezzi petroliferi hanno così perso il 72 per cento. Questo anche perché ieri è stato annunciato che le scorte di greggio Usa sono cresciute oltre le attese, sia pure in misura limitata, mentre le scorte di benzina sono decisamente aumentate: 2,9 milioni di barili contro un’attesa di 1,3 milioni.
I gruppi petroliferi ritengono però che dalla seconda metà del prossimo anno ci possa essere una ripresa dei prezzi (difficile dire in che misura), se ci sarà un sia pur limitato rimbalzo dell’economia. Il fatto è che prezzi a 40 dollari al barile non spingono a investire nella ricerca di nuovi pozzi: fra pochi anni ci si potrebbe quindi ritrovare in una situazione di penuria come quella di non molti mesi fa.

Quotazioni intorno ai 60-70 dollari, come ha sempre sostenuto Paolo Scaroni, ad dell’Eni, avrebbero il doppio vantaggio di spingere a nuove ricerche e nello stesso tempo di essere sostenibili anche dai consumatori finali senza penalizzare lo sviluppo economico.

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