L’opposizione acclama il giudice del caso Mills

Urla e insulti dai banchi di Pd e Idv ma anche cori per la Gandus. A vuoto il tentativo di fermare il pacchetto sicurezza

da Roma

Barricate a Palazzo Madama, e venne il giorno di «Nicoletta». Che poi sarebbe Nicoletta Gandus, fino a ieri l’anonima presidente della decima sezione del Tribunale di Milano, e da ieri la nuova eroina dell’opposizione in Senato: «Siamo tutti Nicoletta Gandus!», gridano i dipietristi, con corredo di cartelli - Ni-co-let-ta! Ni-co-let- ta! - e di nuovo l’aula si arroventa con il fuoco delle polemiche e delle battaglie parlamentari estive.
Dopo un mese di luna di miele, insomma, tornano i botta e risposta, gli escamotage regolamentari, insomma tutti i riti dell’opposizione in trincea. C’è Emma Bonino che prova a ingolfare la macchina degli emendamenti chiedendo che non si proceda al voto, ci sono di nuovo i cori, gli insulti, il piccolo catino di velluto rosso che si incendia di rabbia. Mica male per una giornata che era iniziata alle 11 del mattino senza colpo ferire, con un pacato ritmo estivo. Adempimenti, commemorazioni, nulla di che, tutto come da routine. Poi, improvvisamente, il presidente Renato Schifani non fa nemmeno in tempo a dare la parola ai due relatori del provvedimento sulla sicurezza - Filippo Berselli e Carlo Vizzini - che subito prende la parola l’ex magistrato Felice Casson, eletto del Pd: «Chiediamo che venga data lettura alla lettera di Berlusconi!». A ruota prende interviene anche il dipietrista Felice Belisario: «Questa lettera non può essere considerata una corrispondenza privata! Le sarei grato se lei volesse dare solenne lettura al testo!». Schifani non si tira indietro: «Non lo avevo annunciato, ma la presidenza si riservava già di farlo, una volta incardinato il procedimento... ». Per un attimo il clima si distende, sembra che tutti siano soddisfatti. Dura poco, anzi, pochissimo. Perché poi, quando Schifani legge effettivamente la lettera di Berlusconi, esplode la rabbia delle opposizioni. Schifani sta scandendo il passaggio in cui il premier scrive: «I miei legali mi hanno informato che tale revisione normativa sarebbe applicabile... », che già iniziano motteggi, qualche buhhh! Prosegue: «... Sarebbe applicabile a uno fra il molti fantasiosi processi che i magistrati di sinistra hanno intentato - il mormorio si trasforma in interruzioni “basta!” - contro di me per fini di lotta politica... ». Insomma, un pandemonio. Batte il tamburo di guerra, in Transatlantico, il vicepresidente dei deputati del Pd Luigi Zanda: «Ci opporremo con tutti gli strumenti che il regolamento consente!».
Subito dopo tutti i senatori del centrosinistra si iscrivono per parlare, e ripetono come un disco rotto la stessa frase: «Chiediamo di non passare al voto sugli articoli del testo». Ma per quanto abbia la forza di ostacolare, in Senato il centrosinistra non ha i numeri per bloccare l’esame del testo. E così la rottura si consuma, tra vampate di adrenalina.
Poco prima delle pausa pranzo la strategia ostruzionistica si arena, e il Senato respinge la richiesta delle opposizioni di «non passaggio» agli articoli sul decreto sicurezza: 159 voti contrari, 122 a favore e 3 astenuti. La battaglia prosegue fuori dall’aula: «Trovo sconcertante quello che sta accadendo in queste ore», attacca la capogruppo del Pd Anna Finocchiaro. Altri, come il senatore del Pd Giovanni Legnini, criticano Schifani per la sua conduzione. Gli ribatte il vicepresidente del gruppo del Pdl Gaetano Quagliariello: «È grave - osserva - far mancare all’interno dell’aula il principio di lealtà e il rispetto, soprattutto nei confronti del presidente del Senato, che non è mai venuto meno, neanche nei momenti di più accesa contrapposizione durante la scorsa legislatura».

Antonio Di Pietro taglia l’erba sotto i piedi del Pd, e arriva parlare di «strategia criminale». Nel pomeriggio l’ufficio di presidenza fissa - in un clima tesissimo - il nuovo calendario. La battaglia finirà martedì prossimo, quella parlamentare, almeno. Il «dialogo» è già morto ieri.

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