L’ultima dei giudici: ora vogliono dettare l’agenda del governo

Lo dice, lo impone la Costituzione, senza se e senza ma: compito dei magistrati amministrare la giustizia (in nome del popolo, beninteso). Altro non è loro chiesto, altro non è loro concesso. E adesso salta fuori un pubblico ministero che si prende la libertà di amministrare, oltre che la giustizia, anche l'attività dell'esecutivo. Stabilendo quali delle iniziative del governo siano urgenti e quali procrastinabili, quali importanti e quali trascurabili, quali rilevanti e quali dappoco. La Costituzione impone anche una severa divisione dei poteri per cui quello giudiziario non può metter becco in quello legislativo né ficcare il naso in quello esecutivo. Cosa che ha preso l’abitudine a fare, nel silenzio e forse addirittura fra gli applausi di tutta quella bella società civile e politica che da qualche tempo a questa parte si è messa a idolatrare la Carta costituzionale. L’occasione per esprimere la visione giacobina della supremazia del potere giudiziario, è stata fornita ai giudici della decima sezione penale del Tribunale di rito ambrosiano dal sub processo Mills. Avendo convocato in aula Silvio Berlusconi e dichiarando costui la sua indisponibilità a causa di un programmato Consiglio dei ministri, i pubblici ministeri si sono appellati, come è loro diritto, alla Corte costituzionale. Chiedendole di esprimersi sulla costituzionalità, appunto, di una legge come quella sul legittimo impedimento che a loro avviso collide con l’articolo della Costituzione che sancisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Aggiungendo, tanto per far buon peso, che la programmata riunione del Consiglio dei ministri «rappresenta un caso di impedimento che non è assoluto». Questo perché, come ha gentilmente precisato il pm Fabio De Pasquale, all’ordine del giorno risulterebbero «provvedimenti di non particolare rilevanza e urgenza», quali, ad esempio, «la diffusione del turismo sportivo tramite il golf e problemi linguistici dell'Alto Adige». Se ne deduce che basta ci siano in agenda un paio di argomenti non urgenti e non particolarmente rilevanti - sempre che la promozione di una attività come il turismo che contribuisce al 12 per cento del Pil e l’intervento su una questione come il rispetto dei quel bilinguismo che altrimenti avvelena l'esistenza degli altoatesini siano faccende irrilevanti - per liquidare come robetta da niente un Consiglio dei ministri. Ovvero la massima espressione di quello che viene chiamato potere esecutivo. Possiamo immaginare cosa sarebbe successo se un presidente del Consiglio, mettiamo Berlusconi, avesse detto che il pool antimafia guidato da Giancarlo Caselli stava perdendo tempo e danaro pubblico in una faccenda irrilevante come la caccia allo schiocco di un bacio stampato da Riina sulle guance di Andreotti? Possiamo immaginare il cancan, gli appelli, la tenorile indignazione, i girotondi e altre manifestazioni di piazza a difesa dell'indipendenza e autonomia della magistratura?
Le reazioni all’intromissione così sfacciata della decima sezione penale nell'àmbito del potere esecutivo non c’è invece nemmeno bisogno di immaginare: le abbiamo sott’occhio e sembra proprio che quel gesto arrogante non crei qualche problema alle tante coscienze critiche della nazione. Non scuote l’animo dei professionisti dell'indignazione. Non induce La Repubblica a lanciare un appello mobilitando i firmaioli in servizio permanente effettivo. Niente.

La Costituzione viene colpita al cuore e nessuno dei suoi fierissimi paladini batte ciglio. Contenti di scavarsi la fossa in nome dell’antiberlusconismo e del partito delle manette. Bene così: gli italiani capiscono dove sta il marcio (e votano).

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