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L’ultima partita del «signor Futbolin»

Era il natale del 1936, dopo uno dei bombardamenti durante la guerra civile spagnola, quando in un’ospedale il quindicenne Alejandro Campos Ramirez ebbe un'idea brillante: visto che molti bambini come lui, feriti dalle bombe cadute su Madrid, non potevano giocare al calcio, forse era il caso di inventare qualcosa di simile. Nacque così il gioco che si diffuse in Italia come calciobalilla e affascinò in tutto il mondo intere generazioni di ragazzi e di adulti. Campos Ramirez - noto con il nome di Alejandro Finisterre - è morto alcuni giorni fa a Zamora, in Spagna. Alejandro ebbe la sua folgorante idea guardando una partita di ping-pong. Subito dopo, diede le istruzioni ad un suo amico falegname, Francisco Javier Altuna, affinchè fabbricasse quello che diventò il primo «futbolin» della storia: qualche asse attaccata, con dei pupazzi di giocatori (sempre in legno) montati su delle aste. Un risultato molto sperimentale, ma il nocciolo del gioco era tutto lì. L'invenzione venne brevettata nel 1937, ma il giovane inventore perse tutti gli incartamenti mentre fuggiva in Francia attraversando i Pirenei.
Ma considerare Alejandro Finisterre soltanto l’inventore del futbolín, il calciobalilla, è semplicemente ingiusto e limitativo dello straordinario carattere del personaggio, che fu soprattutto uomo di cultura, profondamente impegnato nella vita artistica e letteraria del suo tempo: un tempo eroico che attraversa la guerra civile spagnola e l'ultimo conflitto mondiale, comprendendo il lungo tempo dell'esilio messicano. Attingendo ai ricordi personali della lunga amicizia che mi ha legato a Finisterre, segnalo il suo libro di versi Cantos rodados (Canti rotolati), la cui prima edizione esce a Roma (Danesi, 1952) e reca sulla copertina un disegno di Picasso. Alejandro mi ha raccontato la storia del coinvolgimento del pittore malaghegno attingendo al repertorio della sua memoria, che negli ultimi anni ha affidato alle pagine di un diario intitolato Controvento, maree e un povero diavolo, di cui sono stato primo lettore privilegiato. Nella prima parte del libro l'autore racconta la sua visita alla casa di Picasso sulla costa francese e l'incontro con il pittore a cui si presenta come repubblicano in esilio, ricevendo attenzione e incoraggiamento alla pubblicazione del volume per il quale chiede un disegno. Picasso non rifiuta, si limita a raccogliere un sasso, vi traccia sopra le linee essenziali di un volto e lo regala al giovane amico, salutandolo con simpatia.
Assai ricca e interessante è soprattutto l'attività editorialistica svolta da Finisterre in Messico, dove si trasferisce nel 1952 e dove fonda l'importante rivista Ecuador 0° 0' 0'', che ha tra i suoi collaboratori il premio Nobel Miguel Ángel Asturias, Max Aub, Paul Caudel, María Teresa León, Octavio Paz e León Felipe.
Ricordo i nostri ultimi incontri, quando mi invitava a leggere il testo aggiornato del diario, dove sfilavano le straordinarie avventure di un uomo fortemente impegnato nell'opera di diffusione della cultura legata alla «Spagna pellegrina». Le pagine del libro mostravano le singolari gesta di un moderno picaro che, rapito da due agenti franchisti mentre un aereo lo portava in Spagna per essere processato, chiede di andare nella toilette e ne esce con una pallottola di carta bagnata, simulando di avere una bomba in mano, tanto da costringere il comandante ad atterrare sul suolo messicano. La storia di Finisterre si confonde con la letteratura e con l'arte.
La sua morte è arrivata improvvisa. Una parte delle sue ceneri sono state disperse nelle acque del Duero, il fiume che per lungo tempo ha diviso la Spagna cristiana dagli arabi. L'altra parte sarà portata in Galizia e liberata nel vento dalle alture della natia Finisterre, come recitano i versi dall'amato amico León Felipe: «Sono figlio dell'acqua e della Terra,/ma la mia sepoltura è nel Vento.

Che esso raccolga l'eredità di polvere e di cenere, il minerale residuo,/la lieve reliquia che il fuoco non distrusse».

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