RomaPiù che di surrealismo, a questo punto sarebbe più opportuno parlare di impazzimento generale. Perché la querelle lanciata dallattore Fabrizio Gifuni sulla necessità di tornare alluso del termine «compagni» - idea che ha lanciato sabato dal Palalottomatica nel corso della manifestazione contro la manovra di governo - ha generato non uno, ma mille fiori polemici che alla direzione di ieri del Pd sono volati sullintera platea trasformandosi in metaforici schiaffoni tra gli adepti della setta democratica. Ad aprire il fuoco, Rosy Bindi, nonostante le sue velleità pacifiste. Sul suo sito, prima della riunione dellorganismo di vertice, aveva fatto sapere che non le erano piaciute per nulla le proteste degli ex-cattolici, e in particolare dellex-ministro Fioroni, contro luso del termine «compagno». «La polemica è da vecchi bacchettoni. Ed è la prova - ha tenuto a sottolineare perfidamente - che lanagrafe non garantisce le idee...».
Passano pochi attimi e proprio Beppe Fioroni, autore di una preoccupata lettera al segretario Bersani in cui sottolineava come «compagni è roba da nostalgici» in cui si tentava una «riesumazione del passato», reagiva da par suo alloffensiva dellex-collega Dc: «Bacchettone io non lo sono proprio! Io non ho certo frequentato le sagrestie come le ha frequentate la Bindi che con i bacchettoni ha avuto contatti e li conosce e dunque è competente!».
Finita qui? Manco per sogno. La pacifista Rosy impugna una mazza ferrata e colpisce sotto la cintura: «Dice che frequentavo le sagrestie? Si vede che lui le frequenta adesso» fa sapere con chiaro e perfido accenno alla cena appartata tenutasi la sera prima tra Rutelli e dirigenti della defunta (solo politicamente) Margherita, ufficialmente per una disamina del bilancio ma anche, come ammesso da più duno, per un giro dorizzonte sulla situazione in casa Pd, dove non tutti gli ex-cattolici si sentono di casa.
Insomma un nuovo trambusto. Tra compagni che sbagliano e bacchettoni che imperversano, il Pd sembra sempre più sullorlo di un auto ko. Tanto che sul palco della direzione lesordio degli oratori sembra preso da «oggi le comiche». «Cari amici e compagni...» esordisce Franco Marini che evidentemente ci tiene a conservare lunità. «Caro compagno Berlinguer», saluta la presidente dei senatori Finocchiaro. «Carissimi...» si lascia andare invece Enrico Letta che non risparmia una staffilata a un partito che «deve scrollarsi di dosso la muffa del partito conservatore». Una torre di Babele in cui ognuno si rivolge allaltro per capire come la pensi, non sulla manovra o sulla fuoriuscita dalla crisi o, ancora, su quello che occorrerebbe fare per impedire che a Pomigliano vincano gli estremisti, ma solo per capire se il suo interlocutore è «compagno» o invece «amico». E classificarlo in base al saluto.
Pier Luigi Bersani, in tutto ciò, cerca di apparire distaccato, ma in realtà sembra in fuori giri: «Non mi pare un problema. Io dico sempre cari democratici, compagni, amici...». Insomma, nel dubbio, si astiene. E quando gli chiedono della lettera di Fioroni in cui lo si invita a «non riesumare simboli del passato» fa finta di nulla. «Di identità abbiamo sempre discusso negli organismi di partito, così come discutiamo su tutto perché gli organismi lavorano su tutti gli argomenti. Non è un problema epistolare», il massimo che gli si riesce a cavar fuori.
E non è ancora finita. Perché se da un lato si suonano trombe e tromboni contro le presunte velleità separatiste dei leghisti, ecco che scoppia con gran fragore la grana siciliana.
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