L’unico ospedale d’Europa che ti cura con l’omeopatia

Essendo nata a Castel del Piano, due chilometri in linea d’aria dal paese dell’Amiata grossetano in cui fu partorito Davide Lazzaretti, probabilmente è dotata delle stesse doti profetiche attribuite al predicatore ottocentesco, del quale la leggenda narra che fosse venuto al mondo con due lingue e quattro occhi per meglio interpretare i segni dei tempi. Come il «Cristo dell’Amiata», fondatore della setta dei giurisdavidici, ucciso dai carabinieri durante una processione nel 1878, anche la dottoressa Simonetta Bernardini, medico da 30 anni, specializzata in pediatria ed endocrinologia, ha rischiato di finire impallinata dai colleghi per la sua passione certo non segreta: l’omeopatia. Una dottrina - una «non scienza» per i detrattori - elaborata due secoli orsono dal medico tedesco Samuel Friederich Christian Hahnemann, sperimentando su se stesso gli effetti del chinino, a quel tempo unico rimedio contro la malaria. Notato che l’alcaloide estratto dalla corteccia di china gli aveva provocato una febbre simile a quella malarica, Hahnemann era pervenuto alla definizione del principio similia similibus curentur, si curino i simili con i simili, per cui le stesse sostanze che in alte dosi possono determinare i sintomi di una malattia, in dosi fortemente diluite possono risultare terapeutiche.
Il primo nemico la dottoressa Bernardini se l’è trovato in casa. Ha infatti sposato il professor Andrea Dei, che da 30 anni insegna chimica nella facoltà di farmacia dell’Università di Firenze ed è considerato uno dei più quotati ricercatori a livello mondiale nel campo del magnetismo molecolare. Insomma, uno scienziato che all’omeopatia non crede per nulla. «È stata molto importante questa relazione dialettica», commenta lei. E spiega che lo scetticismo del marito s’è incrinato non solo dopo aver visto che la moglie curava efficacemente con l’omeopatia i loro due figli, Lupo, 17 anni, e Neri, 14 - «sono nomi toscani del Trecento» -, ma soprattutto in seguito alla ricerca che egli stesso ha condotto in ateneo, «dimostrando l’esistenza di un’azione farmacologica nelle microdosi di determinate sostanze».
La dottoressa Bernardini ha fatto terapia intensiva neonatale, ha lavorato nel centro di diabetologia dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze, è stata pediatra di famiglia. «Già quattro anni dopo essermi laureata m’ero resa conto che la medicina convenzionale è una gran bella cosa, però insufficiente a curare tutte le malattie, in special modo quelle croniche. Avevo bambini che tossivano da ottobre a maggio. Potevo prescrivergli qualsiasi farmaco, ma la tosse non se ne andava e le difese immunitarie restavano fragili. Mi sentivo impotente. E cominciai a chiedermi se quello che avevo studiato all’università era tutto ciò che c’era da sapere sulla salute dell’uomo».
La risposta l’ha trovata nell’omeopatia. «Però nemmeno questa da sola può bastare. Bisogna affiancarla alle terapie tradizionali, come insegnava Christoph Wilhelm Hufeland, medico personale del re di Prussia: “Prova tutto e trattieni ciò che è buono”». Così ha fondato nel 1999, e tuttora presiede, la Siomi (Società italiana di omeopatia e medicina integrata), che conta oltre 1.000 iscritti, ed è diventata tutor del primo master in omeopatia e medicina integrata istituito tre anni fa presso la facoltà di medicina dell’Università di Siena.
Oggi la dottoressa Bernardini è responsabile di un progetto sperimentale di medicina integrata, varato dalla Regione Toscana, che dallo scorso febbraio ha trasformato l’ospedale Francesco Petruccioli di Pitigliano, pittoresco Comune della provincia di Grosseto con le case a strapiombo su una rupe di tufo, nel primo nosocomio d’Europa dove i pazienti vengono curati anche con i rimedi omeopatici e i ricoverati hanno sul comodino i tubetti che dosano i granuli da mettere sotto la lingua.
Sicura che sia l’unico in Europa?
«Forse al mondo. Anche altrove, per esempio al Royal London hospital, s’impiega l’omeopatia, ma solo in ambulatorio».
Perché proprio a Pitigliano? Avreste dovuto aprire in Trentino Alto Adige, la regione con la più elevata percentuale di persone che ricorrono alle cure omeopatiche: 18,3 per cento.
«Perché la Regione Toscana è l’unica ad aver riconosciuto l’omeopatia, l’agopuntura e la fitoterapia».
In quale divisione si cura con l’omeopatia?
«L’ospedale di Pitigliano ha un’unica divisione di medicina generale e appena 36 posti letto. In pochi mesi abbiamo già erogato 1.400 prestazioni. Purtroppo le liste d’attesa arrivano a marzo 2012. Si presentano pazienti da tutta Italia. Il sindaco Dino Seccarecci sta studiando il modo per attivare una convenzione con gli alberghi della zona. Nel centro riabilitativo di Manciano curiamo con l’omeopatia anche i pazienti reduci da un ictus o da un intervento di protesi all’anca che fanno rieducazione neurologica e ortopedica».
Ma se vengo ricoverato a Pitigliano mi rifilano solo i granuli omeopatici?
«Certo che no. Se il paziente non esprime alcuna preferenza, è curato con la medicina convenzionale. Altrimenti, su sua espressa richiesta, a questa si affiancano l’omeopatia e l’agopuntura. Assicuriamo la presenza di due medici per turno, un omeopata e un agopuntore».
Il professor Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, ha attaccato su Oggi l’ospedale di Pitigliano obiettando che il Servizio sanitario nazionale non può assecondare la libertà di cura dei pazienti, altrimenti «perché non dare spazio in ospedale anche a maghi e guaritori, nei quali una parte del pubblico ripone grande fiducia?».
«Si chieda piuttosto Garattini come mai tanta gente si affida alla medicina complementare. Se quella convenzionale bastasse, nessun malato andrebbe in cerca d’altro. Secondo il Rapporto Italia 2010 dell’Eurispes, si curano con l’omeopatia circa 11 milioni di connazionali. Stando alla Doxa, erano il 23 per cento della popolazione già nel 2004. Omeoimprese, l’associazione delle industrie di settore, attesta che negli ultimi 15 anni sono aumentati del 65 per cento».
A me risulta che dal 1991 al 2005 la percentuale d’italiani che ricorre all’omeopatia sia invece diminuita dall’8,2 al 7 per cento. Dato Istat.
«Una riduzione imputabile al costo delle visite mediche e delle cure. Il Servizio sanitario non rimborsa nulla. Ma è rimasta invariata la fascia pediatrica, segno che un genitore rinuncia per ragioni economiche al medicinale omeopatico, ma non ne priva il figlio».
Che cos’è l’omeopatia?
«Una medicina che utilizza in dosi infinitesimali, e pertanto mai tossiche, sostanze naturali in grado di stimolare il potenziale di autoguarigione presente in ciascun individuo, quella vis sanatrix naturae, la forza risanatrice della natura, di cui parlava Ippocrate».
Come nasce un rimedio omeopatico?
«Si prende un millilitro di una tintura madre, tipo la belladonna, e si diluisce in 99 millilitri di solvente formato da acqua e alcol. Dopodiché si prende un millilitro di questa prima diluizione e si diluisce con altri 99 millilitri di solvente, ottenendo così la seconda diluizione. E così via. Si può arrivare a 200 diluizioni, ognuna delle quali espressa con un numero progressivo seguito dalla sigla Ch. Fino alla dodicesima diluizione sono ancora presenti le molecole del principio attivo, per cui si parla di medicinali molecolari. Oltre la 12 Ch, spariscono, per cui li chiamiamo ultramolecolari o ultralow».
Ma com’è possibile che quest’ultimi funzionino?
«E chi lo sa? Non ci sono spiegazioni. Lo scienziato francese Jacques Benveniste, morto nel 2004, fu violentemente contestato per aver tirato in ballo la “memoria dell’acqua”, supponendo che anche dopo infinite diluizioni essa conservi la memoria delle sostanze che ha contenuto».
Mettiamo che mi fidi dei molecolari, visto che contengono qualcosa.
«Vitamina D, cortisolo ed estrogeni hanno nel sangue umano le stesse concentrazioni di un medicinale omeopatico da 3 Ch a 5 Ch. Significa che le microdosi contengono un universo terapeutico. Il guaio è che la farmacologia tradizionale finora s’è dedicata solo allo studio di sostanze chimiche assunte in modo massiccio. Lei pensi all’Aspirina: sono 100 milioni di molecole per ciascuna cellula del nostro corpo. Questa è la farmacologia dell’overdose».
Il professor Luigi Garlaschelli, docente all’Istituto di chimica organica dell’Università di Pavia che ha riprodotto in laboratorio persino il miracolo di San Gennaro, mi ha spiegato che se l’omeopatia funzionasse andrebbe contro tutti i principi della fisica, della chimica e della biologia: dopo 12 diluizioni centesimali è acqua diluita con acqua.
«Ha ragione. Ma questo è un problema più della fisica che dell’omeopatia. I fenomeni che osserviamo sono veri, reali. Il fatto di non saperne spiegare le cause non esclude che avvengano e che siano misurabili».
Garlaschelli ipotizza un effetto placebo su pazienti facilmente suggestionabili.
«Ah sì? E come spiega l’efficacia terapeutica dei farmaci omeopatici ultralow sugli animali dimostrata dall’Università di Kalyani, in India, col Lycopodium 30 Ch, ottenuto da una pianta chiamata piede di lupo, che protegge il topo dal tumore epatico? È suggestionabile un ratto? E che dire della Ruta graveolens 6 Ch, ottenuta dalla ruta comune di solito messa in infusione nella grappa, che all’Anderson cancer center dell’Università del Texas ha ucciso le cellule di tumore cerebrale non nelle cavie ma addirittura nelle colture in vitro?».
Persino Wikipedia, alla voce omeopatia, premette: «Le pratiche qui descritte non sono accettate dalla scienza medica, non sono state sottoposte alle verifiche sperimentali condotte con metodo scientifico o non le hanno superate. Potrebbero pertanto essere inefficaci o dannose per la salute».
«Dannose mai. Nel modo più assoluto. Lo vede questo tubetto? Contiene 80 granuli di Lachesis Mutus 30 Ch, cioè una quantità infinitesimale di veleno ottenuto dall’omonimo crotalo che vive in Sudamerica, un serpente dal morso letale, lungo due metri, soprannominato dai brasiliani surucucù. Potrei inghiottire gli 80 granuli tutti insieme, qui davanti a lei, e non mi accadrebbe nulla».
Evitiamo. Qualcosa del genere è già stato fatto l’anno scorso in Gran Bretagna dalla Merseyside skeptics society, un’organizzazione non profit di scettici paragonabile un po’ al Cicap, il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale. Centinaia di volontari hanno ingollato in pubblico interi flaconi di prodotti omeopatici, senza riscontrare alcun effetto positivo o negativo.
«Sì, era Arsenicum album. E sa a che ora l’hanno fatto? Alle 10.23 del mattino, perché 10 alla meno 23 è il famoso numero di Avogadro che segna il confine tra la presenza e la non presenza di molecole in una soluzione. Il che conferma quanto le ho appena detto sul Lachesis Mutus 30 Ch».
Se i prodotti omeopatici sono così sicuri, perché il decreto legislativo 185 del 1995 ne vieta la pubblicità?
«Perché non sono registrati dal ministero della Salute e dall’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco. Lei va in Svizzera e li trova in vendita come medicinali. Idem in Francia, Germania e Regno Unito, dove sono rimborsati dal Servizio sanitario nazionale. Invece in Italia è persino vietato stampare sulle confezioni le indicazioni terapeutiche e la posologia».
Ma se l’omeopatia funziona così bene, perché non viene utilizzata per curare il cancro?
«E perché si dovrebbe usare contro il cancro se è più efficace per combattere gli effetti collaterali della chemioterapia? Meglio utilizzarla per asma, cefalee, infezioni delle vie respiratorie, allergie, dermatiti atopiche, insonnia, disturbi del comportamento, reumatismi, sindromi ansioso-depressive e in genere per tutte le malattie croniche. Che, se fossero curabili con la medicina convenzionale, non si chiamerebbero croniche, le pare?».
Se disgraziatamente diagnosticassero un tumore a lei, che farebbe?
«Ricorrerei alla chirurgia, se possibile, oppure mi sottoporrei alla chemioterapia. E mi rivolgerei all’omeopatia e all’agopuntura per innalzare le difese immunitarie dell’organismo e ridurre le conseguenze nocive degli antineoplastici».
James Randi, un ex illusionista statunitense, ha messo in palio un milione di dollari per chiunque riesca a distinguere 50 fiale di acqua fresca da 50 fiale di prodotto omeopatico. Non s’è ancora fatto avanti nessuno.
«Questi sono sensazionalismi dei nemici dell’omeopatia.

In medicina non abbiamo bisogno né di sparate né di guerre, bensì che tutti studino di più. Vede, io, Garattini, lei in fin dei conti siamo qui soltanto a parlarne. I malati sono gli unici che sperimentano i farmaci sulla loro pelle».
(557. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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