Una lady fuoriserie, come la sua vita

Di miti, in famiglia, ne basta uno. Forse è per questo che Gianni Agnelli non parlava mai pubblicamente della madre, e fece tutto quanto era in suo potere, che era tantissimo, perché fuori dalle mura dinastiche non la ricordasse nessuno. Ci riuscì. E così, oggi, pochi conoscono la storia scandalosa e drammatica della nobildonna Virginia Bourbon Del Monte Agnelli, madre dell’Avvocato e di altri sei agnellini: Clara, Susanna, Maria Sole, Cristiana, Giorgio e Umberto. Ed ecco perché un’altra nobildonna dalla vita scandalosa e accidentata, Marina Ripa Di Meana, ha deciso con l’aiuto della giornalista Gabriella Mecucci di raccontarne l’epopea segreta nella biografia Virginia Agnelli. Madre e farfalla (Minerva edizioni, pagg. 288, euro 19). Farfalla perché fragile e frivola, madre perché capace di difendere come una tigre i suoi figli, sempre.
Misteriosamente bella, naturalmente anticonformista, istintivamente trasgressiva, Virginia era figlia di un principe della nobiltà nera, Carlo Bourbon del Monte Principe di San Faustino, titolo concesso dal Papa nel 1861, e dell’americana Jane Allen Campbell, chiamata dai sette nipoti Agnelli «Princess Jane», una coppia da cui ereditò - e a sua volta lasciò in dote all’Avvocato - nonchalance aristocratica e indipendenza di spirito. Oltre a un certo senso dell’edonismo e uno charme fuori dal comune.
Rossa e riccia, non portava ma il cappello, cosa disdicevole all’epoca per una gentildonna. Portava larghi pantaloni senza indossare gioielli. E girava completamente nuda sia sulla spiaggia privata di Forte dei Marmi che nella sua casa romana.
«Bella, fragile, amante della gaiezza, totalmente priva di istruzione, sempre e fondamentalmente una ragazza», la descrisse a suo tempo la figlia Susanna. Mondanissima ed eccentrica oltre il dovuto. Come quando per festeggiare la Juventus campione d’Italia nel ’32 si presentò al banchetto di gala, al parco Valentino, con un samoiedo bianco e un barboncino nero al guinzaglio. Estremamente generosa con gli amici e con gli estranei, concedeva tutto ai figli, anche di bersi un bel bicchiere di succo d’ananas mescolato allo champagne. Noblesse oblige.
Le donne in casa Agnelli hanno spesso prodotto notevoli turbolenze. Virginia, più di tutte. Eppure - come scrivono le sue due entusiaste biografe - se gli Agnelli hanno rappresentato per l’Italia una sorta di monarchia, lei è stata la vera Regina Madre. «È lei l’artefice dell’Agnelli style». Principessina di Roma, «prima signora» di Torino, first lady dell’erede al trono della famiglia più potente d’Italia.
Libertina, elegante, seducente, aveva appena vent’anni quando andò sposa, nel giugno 1919, nella Basilica romana di Santa Maria degli Angeli, a Edoardo Agnelli. E ne aveva appena 46 quando morì, nel novembre 1945, in un incidente d’auto. Un quarto di secolo, dolce e tormentato, per entrare nella leggenda della famiglia Agnelli, e nella storia d’Italia.
Il matrimonio con Edoardo, al quale diede sette figli - che nei giorni normali vestivano alla marinara, ma quando c’era l’adunata mettevano come tutti la divisa fascista - fu, come spesso accade, agli inizi pieno d’amore, poi di liti e di scandali: per via delle malelingue sui disinvolti costumi sessuali di lei, e per le voci sulle notti brave di lui. Poi tutto tace nel luglio del 1935, quando Edoardo muore sul suo idrovolante, a Genova. E a Virginia, da quel momento, non resta che Malaparte.
Con lo scrittore toscano donna Virginia ebbe una lunga e tormentata relazione, forse già quando lui era direttore della Stampa, il giornale di famiglia, tra il ’29 e il ’31; forse dal momento in cui rimase giovane e bellissima vedova. Quandunque sia, la cosa scatenò le ire del suocero, il severo e potente senatore Giovanni Agnelli, fondatore della Fiat e della dinastia: non glielo perdonò. Prima fece saltare le nozze, poi chiese al capo dell’Ovra Arturo Bocchini di pedinarla. La polizia fascista per mesi compilò dettagliati rapporti che servirono al Senatore per far togliere a Virginia la patria potestà e ottenere l’affidamento dei sette agnellini. Alla fine ci riuscì: nel dicembre 1936 la polizia, con in mano una sentenza del Tribunale per i Minori, cerca di strapparle i figli mentre in treno li sta portando con sé a Roma. Poi, nel maggio del ’37, un’ingiunzione del Tribunale la obbliga a consegnarli definitivamente al suocero. Strazio, prime pagine, scandalo.
La lunga battaglia con il Senatore finirà solo grazie al piccolo Gianni. È lui un giorno a dire al nonno: «Ora basta, vogliamo tornare con mamma». Nonostante la leggendaria freddezza, l’Avvocato ebbe per la madre un amore assoluto. Per tutta la vita tenne in camera da letto una sola fotografia: la sua.
Virginia fu una donna apparentemente ingenua, in apparenza fragile, ma che nascondeva una personalità fortissima, capace di dimostrare al momento opportuno coraggio e passione. Come quando, nel ’44, fu protagonista dell’«Operazione Farnese»: grazie alle sue amicizie di alto rango, organizzò segretamente l’incontro tra papa Pio XII e il generale Karl Wolff, Comandante supremo delle SS in Italia, che portò i nazisti ad abbandonare Roma senza ulteriori combattimenti e distruzioni. Per Marina Ripa di Meana, «proprio in quel capolavoro politico di Virginia, che le viene riconosciuto da storici insigni, può esserci uno dei motivi dell’oscuramento familiare della memoria di Virginia. Quasi ci fosse stato il timore di farla apparire collusa con i tedeschi, mentre lei merita per sempre la riconoscenza di tutti gli italiani. Credo, comunque, che alla base della rimozione pubblica di Virginia ci sia stato senza dubbio il figlio Gianni: ai miti, e lui in un certo senso lo era, non è consentito avere parenti». Del resto fu proprio l’Avvocato a impedire gli adattamenti televisivi del libro Vestivamo alla marinara della sorella Susanna (il regista Mauro Bolognini doveva dirigere lo sceneggiato in quattro puntate, ma l’Avvocato acquisì i diritti di riproduzione rimborsando le spese del lavoro già eseguito) per evitare qualsiasi ciak pettegolo sulla famiglia. La riservatezza, per gli Agnelli, è tutto.


Quanto a Virginia, ahinoi, morì nel pomeriggio del 21 novembre 1945, in un incidente di macchina mentre si recava in Versilia, all’altezza di San Rossore, schiantandosi, in un sorpasso azzardato, contro un gigantesco camion militare americano. Si spezzo il collo contro l’arco di acciaio posto a rinforzo del sedile della sua auto. Una Fiat 1500. Fuoriserie. Come la sua vita.

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