Il direttore d'orchestra Riccardo Chailly aveva diciannove anni quando assistette alla sua prima opera di Dmitrij Shostakovich, Il naso. "Rimasi letteralmente stordito per giorni", ricorda oggi. Quel compositore ne era certo sarebbe stato pane per i suoi denti. E così è stato. Non solo. Il 7 dicembre chiuderà il decennio da Direttore Musicale della Scala dirigendo Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk, la sua dodicesima Prima della Scala. Tra gli ospiti attesi, Irina Antonovna, vedova del compositore.
Capolavoro del Novecento, Una Lady Macbeth è un'onda sonora travolgente che impregna la vicenda di disperazione e solitudine di Katerina, la Lady del titolo. Alla Scala è stata rappresentata solo due volte, esula dalla zona di conforto, certo, ma lo spettatore assicura Chailly resterà incollato alla poltrona per le tre ore e quarantacinque minuti di durata (intervalli inclusi).
A dominare la scena è anzitutto l'orchestra: "Il vero narratore della vicenda è lei, tutto accade in orchestra", afferma il direttore. Il sipario si apre su Katerina che si lamenta "della noia soffocante della sua quotidianità. I clarinetti scendono come un serpente per rendere l'impossibilità di evadere". Lei è un'adultera che, per amore di Sergej donnaiolo spregiudicato commette tre omicidi: marito, suocero, rivale. Alla fine si toglie la vita. La partitura è costellata di sarcasmi musicali "beffardi, quasi da operetta". L'opera scorre in una tensione continua, con glissati satirici, spesso di trombone, per delineare suocero e marito. Solo in un momento l'energia si placa, "quando Sergej si addormenta, è l'uomo che lei crede l'amore della sua vita. Le orecchie finalmente si distendono dopo tanta politonalità sovrapposta. Tutto si calma e si dipana".
Sesso esplicito, linguaggio crudo, violenza: Lady Macbeth non fa sconti. La Scala invece sì. "Ho visto una produzione in Olanda talmente esplicita che perfino io, che non sono moralista, ho provato fastidio. Ho affrontato questo tema con il regista che, pur non cercando la pruderie, non vuole nemmeno la provocazione".
Altro momento potenzialmente osé si ha quando la cameriera Aksinja viene insidiata dai servi. In genere letto come stupro, alla Scala diventerà "uno scherzo collettivo, una farsa crudele: lei finisce sul tavolo della cucina, condita come un piatto prelibato".
Dati i tempi, di conflitti e di censori, c'è chi solleva la questione dell'opportunità, o no, di mettere in scena un'opera russa. Chailly è netto: "L'arte deve poter vivere, non soltanto sopravvivere". E aggiunge: "Con il massimo disprezzo per la tragedia che l'Ucraina sta vivendo, ritengo ingiusto coinvolgere giganti come Dostoevskij o Shostakovich".
E arriviamo al nodo-Stalin e al più clamoroso caso di censura del Novecento. Dopo un anno e mezzo di trionfi, nel 1936 l'opera venne bandita fino all'era Krusciov.
Stalin era andato a teatro con Molotov, nel suo palco speciale in cemento armato, e tempo poche ore e arrivava la stroncatura. Troppo moderna, troppo dissonante, troppo libera questa Lady sanguinaria. E soprattutto troppo simile all'universo di violenza e menzogna del regime staliniano. Niet!