
Giuseppe Parlato, il cui nome è legato agli studi sul sindacalismo fascista e alla storia della destra post-fascista, cominciò in realtà come studioso del Risorgimento. Lui, che era nato a Milano nel 1952 ma aveva studiato a Torino, si laureò brillantemente nel 1974 con una tesi sugli ufficiali piemontesi coinvolti nei moti del 1820-21. Lo aveva seguito un studioso del Piemonte sabaudo, Narciso Nada, autore fra l'altro di pregevoli lavori su Carlo Alberto e uomo d'altri tempi, che, però, contava ben poco nella Torino accademica del tempo egemonizzata da una cultura di ispirazione azionista.
Quando lo conobbi, Giuseppe Parlato, appena laureato e per quanto brillante e colto (molto più di tanti suoi coetanei), non aveva grandi prospettive accademiche proprio per l'ostilità di tipo ideologico-culturale che si era trovato a dover fronteggiare a Torino. Essendo nata fra noi una solida e profonda amicizia ne parlai a Renzo De Felice, il quale, dopo averlo visto, lo chiamò a far parte di quella che, scherzosamente, definiva «l'armata Brancaleone» dei suoi assistenti. L'incontro con il grande storico del fascismo fu decisivo non soltanto perché egli divenne uno dei suoi più fidati collaboratori ma anche perché in lui trovò un maestro che lo seppe guidare e indirizzare verso nuovi interessi.
Poco alla volta, Parlato mise da parte le suggestioni per i temi risorgimentali e post-risorgimentali (penso a certe sue iniziali e belle ricerche su personalità del primo nazionalismo) per occuparsi di sindacalismo fascista, un argomento all'epoca poco studiato. Fui ancora io, in certo senso, a indirizzarlo su quella strada perché ne feci il nome per la stesura della parte dedicata a La politica sindacale e sociale relativa al periodo fascista per gli Annali dell'economia italiana. Egli si dedicò con entusiasmo a quel lavoro, ma soprattutto si appassionò alla tematica sindacale fino a diventarne uno dei maggiori, più attenti ed equilibrati conoscitori. Nacque, così, il volume su Il sindacalismo fascista. Dalla Grande crisi alla caduta del regime 1930-1943 (1989) che offriva, per la prima volta, una sorprendente panoramica, per quanto possibile, esaustiva delle tante posizioni teoriche e delle vivaci polemiche che caratterizzarono e animarono il mondo del lavoro.
Da tali studi a quelli sul fiumanesimo, dove la tradizione del sindacalismo rivoluzionario fu essenziale, e a quelli sulle componenti di «sinistra» del mondo fascista per giungere, infine, a quelli sul «neofascismo», prima, e, più in generale, sulle destre, poi, il passo fu breve. I titoli di alcuni dei suoi lavori sono indicativi: La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato (2000); Fascisti senza Mussolini: le origini del neofascismo in Italia (2006); Mezzo secolo di Fiume: economia e società a Fiume nella prima metà del Novecento (2009); La fiamma dimezzata. Almirante e la scissione di Democrazia Nazionale (2017). Ci sono, come ben si intuisce, nel percorso di studioso di Giuseppe Parlato, una coerenza tematica e una volontà di approfondimento di questioni troppo spesso tralasciate, per vari motivi soprattutto ideologici, dalla ricerca storica.
Oltre che un ricercatore rigoroso e appassionato, egli era un intellettuale molto curioso, animato da una vera e propria cupiditas sciendi frutto di una cultura storiografica ben solida materiata dalla lettura dei classici e quindi non tributaria dello «specialismo» oggi di moda, né, tanto meno, della tendenza al ricorso di una aneddotica fine a se stessa. Ma, al là delle sue indiscusse doti di studioso testimoniate dai suoi lavori, egli aveva anche la vocazione propria di un organizzatore culturale. Non a caso, durante il periodo nel quale presiedetti la Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, lo volli al mio fianco nel consiglio di amministrazione dell'ente. E non a caso gli furono affidati nel corso degli anni incarichi prestigiosi: commissario, prima, e poi direttore dell'Istituto Italiano per la Storia Moderna e Contemporanea e, infine, vice-presidente della Giunta Storica Nazionale.
Tuttavia la più importante delle iniziative, alle quali rimane legato il nome di Giuseppe Parlato, fu la creazione della Fondazione Ugo Spirito (ora Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice) che egli, con tenacia, portò avanti impegnandovi energie e trasformandola, poco alla volta, in una struttura importante, sia per l'attività di ricerca scientifica sia per il ruolo fondamentale di polo per la conservazione della memoria (e dei documenti) della destra italiana in tutte le sue sfumature. Di questa istituzione Parlato fu veramente l'anima anche quando la presiedettero altri studiosi: non soltanto, lo fu, come custode della biblioteca e delle carte del filosofo, come ricercatore di nuove acquisizioni documentarie, ma anche come valido organizzatore di seminari, conferenze, convegni e promotore di ricerche storiche. È tutto suo, in altre parole, il merito di aver reso la Fondazione un polo importante per gli studiosi di storia contemporanea.
Non credo, a quanto mi risulta, che Parlato a differenza di me che gli fui amicissimo negli ultimi anni pur essendo intellettualmente legato al suo «avversario» filosofico Augusto Del Noce avesse avuto una qualche frequentazione con Spirito, ma il filosofo gli era, in ogni caso, più intellettualmente vicino di quanto non fossi io proprio per le sue posizioni sul sindacalismo e sul corporativismo. Non è privo di significato che sempre Parlato abbia voluto, ad un certo momento, accostare, nella denominazione ufficiale della Fondazione, al nome di Spirito quello di Renzo De Felice, che proprio di Spirito era stato allievo all'Università.
C'è, pure, un altro aspetto della figura e della personalità di Parlato che merita di essere sottolineato: quello che ne ha fatto per tanti giovani studiosi un punto di riferimento e cioè una sorta di «vocazione», per così dire, pedagogica.
Parlato, insomma, non era soltanto un valido studioso, che ha legato il proprio nome a lavori considerati fondamentali, e un animatore culturale nel senso più ampio del termine, ma era anche un professore che si preoccupava di insegnare ai propri allievi, di creare una «scuola» insomma.Ci mancherà lo studioso, ma anche l'uomo con la sua generosità e la sua ironia.