L'altra storia di Orlando la "dice" Angelica

Il romanzo di Vittorio Macioce è un lussureggiante spin-off di Boiardo e Ariosto. Con molte sorprese

L'altra storia di Orlando la "dice" Angelica

Mai lette così tante corbellerie.

Un accumulo di gesta, dame, preghiere, sfide, inseguimenti, assalti, amori malandati, castelli e destini incrociati. E poi giostre, animali fantastici, armi fatate, terre, mappe, guerre, ossessioni, pazzie... Trame, sottotrame, un fiume che è la Storia principale e poi i suoi affluenti, rivoli, canali, anse, bacini, un delta che si ramifica... Si chiama romanzo.

S'intitola Dice Angelica (Salani) ed è il primo romanzo di Vittorio Macioce, firma del Giornale abituata a scrivere pezzi che hanno molti debiti con la narrativa e che ora salta del tutto l'ostacolo e passa - armi della scrittura affilatissime e bagagli culturali strapieni - alla letteratura.

E cosa dice, Angelica? «Lo so che molti si sono chiesti che fine abbia fatto dopo che i cantastorie hanno smesso di raccontare le mie avventure».

Ecco, l'autore parte da qui. Dice Angelica narra tutto ciò che è rimasto nascosto di uno dei personaggi più celebrati della nostra letteratura ma che pure - chiuso l'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo e chiuso il suo sequel, l'Orlando furioso di Ludovico Ariosto - resta impenetrabile. Fino a oggi.

Cosa diceva e cosa pensava Angelica? Perché, contesa da Orlando e Rinaldo e inseguita da tanti celebri paladini innamorati, finisce col scegliere un semplice fante dell'esercito saraceno, Medoro? E poi, siamo sicuri che la rissa continua tra tanti maschi alfa la inorgoglisse? E ancora: Orlando, così nobile ma così brutto, le piaceva davvero? Quanto c'è di Angelica in ogni femmina? E, particolare non di poco conto, Angelica è stata davvero bionda?

Dice Angelica

Scritto con una conoscenza profondissima delle fonti - i poemi cavallereschi, la Chanson de Roland, l'Opera dei Pupi siciliana, ma anche tutti i miti antichi e i poemi epici - e con uno stile personalissimo fatto di frasi brevi e brevissime, narrazioni in seconda persona che si intrecciano ad altre in terza, pagine che guardano alla poesia e altre al giornalismo letterario, un uso di tutte le sfumature della lingua italiana (si segnala il capitolo di Astolfo sulla Luna, i racconti del vecchio eremita o la straordinaria radiocronaca in versi del duello fra Orlando e Rinaldo, esempio: «E zompa e zurla e strilla e snasca. E spanza e rulla e svanga e pialla. E poi un abbraccio. Plié./ E tacco e punta e fischia e sganga. E sputa e schiva e salta e sfiamma. E poi uno schiaffo. Arrière»), il romanzo di Vittorio Macioce è una ragnatela di sogni e una trama di incanti dove, in una giostra tra reale e immaginario, tutto è verosimile (sta a te, lettore, crederci oppure no) e dove, soprattutto, storie così antiche finiscono per narrare qualcosa di molto contemporaneo. Ossia l'incontro fra due universi antitetici, l'uomo e la donna, e l'assalto fra due mondi inconciliabili, il Cristiano e il Musulmano (e del resto, la canzone di Orlando è l'origine di qualcosa che chiamiamo Europa e Occidente). «Come finisce la storia tra mori e cristiani? Non ci sono eserciti e non ci sarà terrore. Niente martiri e torri cadute. Non verranno i draghi a incendiare il cielo. Non c'è neppure una fine».

Cose da sapere per leggere Dice Angelica. Prima di tutto, i protagonisti. Naturalmente sono Angelica, che è bella, audace, furba, cinica, sfuggente, gelida, capricciosa, spietata; e Orlando, che è coraggioso, forte, geloso, nobile, ingenuo, generoso. E con «caratteri» simili un bravo scrittore può raccontare tutto. Poi i comprimari: la maggior parte sono pescati da messer Boiardo e messer Ariosto, e sono filologicamente inappuntabili, da Bradamante a Rodomonte; altri sono inventati di insana pianta dall'autore: la madre di Angelica, tessitrice di storie della quale non si conosce il nome; Isacco, un mercante ebreo che conosce tutte le lingue; Tartufon, l'oste della «Locanda degli amori perduti», luogo di ritrovo di una valle - che potrebbe essere in Provenza o la Val di Comino - in cui tutte le storie sono vere; il cantastorie Bernardo, l'uomo dai cento nomi (dentro il quale si agitano gli eteronimi di Pessoa) e un giovane marinaio che - in Letteratura il tempo è solo un assurdo - forse è già Achab ossessionato dalla Bestia.

Poi, la struttura. Il romanzo è costruito a capitoli alternati: a parlare sono il Narratore che racconta una storia, cioè la sua versione di Angelica (e che a volte si stupisce, si ferma a fumare, si confessa col lettore...) e Angelica, «una ragazza che cercava la strada più breve per raggiungere il centro del mondo» e si è persa: le trecento pagine servono a farla ritrovare. Le due linee della narrazione, come le eliche del Dna, a volte si incrociano e dialogano fra loro... Quindi il genere. A quale genere narrativo appartiene Dice Angelica? La risposta è in una intuizione dell'autore. Vittorio Macioce è sicuro, e ci ha convinto, che l'Orlando furioso è il primo videogame della storia: ci sono combattimenti, «picchiaduro», incantesimi, magie, ruoli, percorsi, mappe, armi speciali, terre da scoprire, animali fantastici, duelli, punti di difesa e attacco. Il romanzo di Macioce è in qualche modo una espansione del poema dell'Ariosto.

Dal genere alle fonti. Citazioni che attraversano Dice Angelica: i miti antichi, il ciclo degli «Antenati» di Italo Calvino, certe novelle di Boccaccio, il Moby Dick, qualche romanzo di cappa e spada, fantasy selezionatissimo, Guerre stellari (tra cui il duello tra Obi-Wan e Anakin) e lo spaghetti western (per cinquecento e passa anni Orlando è stato il western, poi sono arrivati gli americani; e Sergio Leone ha sempre ammesso che per le sue sceneggiature si ispirò ai canovacci dei pupari: botte, fughe e duelli). Per quanto riguarda i luoghi del romanzo, invece: tutti, da Avalon a una strana valle dove si beve ratafià di visciole.

E ancora: insegnamenti che si possono trarre da un romanzo come Dice Angelica. Che abbiamo ancora bisogno di credere alle illusioni. Che nessuno muore per sempre: resta sempre qualcosa di noi (corollario: «L'eternità è un lusso di chi ha molto tempo da perdere»). Che la bellezza non ti salva dal tradimento. Che ha vinto Achille, ma tutti si rivedono in Ettore. Che non si devono fare promesse che sono contro il destino. Che la fama non è quello che fai ma quello che raccontano di te. Che la fede non è mai più importante di ciò che si prova per una donna, o per un uomo. E che alla fine siamo tutti qui, a fare finta di essere sani.

Infine, il senso del romanzo.

Attenzione: è vero, l'illusione ti incanta, ed è un pericolo. Ma la troppa realtà ti strappa i sogni. Cosa è peggio: credere a tutto o non credere abbastanza?

Nota a margine: in un'epoca di insopportabili storyteller, finalmente il ritorno di un vero cantastorie.

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