Landini e il Pd vogliono il "reddito di cinemanza" per registi e attori

Dopo aver finanziato film di insuccesso, la sinistra va all'attacco del governo

Elio Germano in "Berlinguer - La grande ambizione"
Elio Germano in "Berlinguer - La grande ambizione"
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Maurizio Landini, leader della Cgil, si unisce alla battaglia del cinema finanziato dallo Stato contro la destra che si rifiuta di distribuire soldi a pioggia. Anche il Partito Democratico, non sapendo cosa dire su argomenti più rilevanti, si getta nella mischia imputando la colpa della crisi del cinema al governo in carica. La sinistra, divisa su tutto, trova l'unità di fronte all'appello di registi e attori ben foraggiati (da sempre). Ieri altre firme e altre lettere di protesta al ministro della Cultura Alessandro Giuli. Pierfrancesco Favino ha tenuto banco dal Festival di Cannes, con toni più concilianti rispetto ad altri colleghi.

Naturalmente, i lavoratori del settore vanno tutelati, come i lavoratori di ogni altro settore. Ma qui non si parla di loro, se non strumentalmente. Il vero tema è l'assegnazione indiscriminata di fondi pubblici. Come ammette qualunque produttore o distributore, non in pubblico, il sistema di finanziamenti ordito da Dario Franceschini era insostenibile e andava riformato per forza.

Il primo buon motivo è che era talmente intricato (tra fondi automatici, contributi selettivi, tax credit) da risultare poco trasparente. Il secondo motivo è che film costati nel complesso milioni di euro ai contribuenti italiani hanno fatto quattordici, venti, venticinque spettatori. Alcuni non sono nemmeno andati in distribuzione. Non è possibile finanziare film che non attirano spettatori in sala, non passano in televisione, non vanno sulle piattaforme in streaming. Il terzo motivo è che finanziare tutti finisce col danneggiare le produzioni «reali» ovvero quelle che sperano di imporsi anche sul mercato. Si potrebbe dire che proprio a questo servono i finanziamenti: permettere opere coraggiose senza badare troppo al botteghino e far crescere i talenti. Ma i finanziamenti, chissà come, finiscono sempre nelle stesse mani. Il quarto motivo è che la crisi del cinema dipende anche e soprattutto dalla qualità dei film. Per un ottimo lavoro come Vermiglio, quanta spazzatura d'autore (si fa per dire) bisogna smaltire? Parliamo di soldi pubblici ma parliamo anche di nuove idee cinematografiche, altrimenti è tutto inutile.

Nel settore cinema vediamo cosa comporta non rispettare le regole del mercato: produzioni inutili, soldi buttati, industria foraggiata e quindi sovradimensionata (per quanto piccola possa essere). Facciamo un esempio al contrario. C'è ancora domani di Paola Cortellesi non ha avuto un centesimo dalla commissione instaurata da Franceschini. In data 12 ottobre 2022, il ministero ha bocciato l'opera ritenendola «di scarso valore» e dunque non meritevole di obolo. La produzione ha scommesso (bene) sugli sgravi fiscali. Il film, nel 2023, ha incassato 27 milioni e 500mila euro. Prima al botteghino annuale. Oltre a essere recensito in mezzo mondo, ora prosegue la sua corsa in Cina, dove ha attirato nelle sale oltre un milione di spettatori. La storia getta una luce sinistra sulla competenza della commissione e conferma che i buoni film trovano sempre la strada giusta per arrivare agli spettatori.

In generale, alla sinistra di governo e di lotta cinematografica, al sindacato in cerca di visibilità, andrebbe fatto notare che sottrarre denaro a tutti gli ignari contribuenti per darlo a pochi registi è una delle forme più odiose di redistribuzione. Prima la sinistra ha drogato un settore, ora si lamenta con gli altri perché il paziente si sente male. È colpa vostra, ragazzi, e «grazie» per aver sprecato risorse preziose. L'assunto teorico (paradossale) è che l'arte può essere libera solo se finanziata dallo Stato; senza l'intervento pubblico sarebbe il mercato a decretarne il successo o l'insuccesso, ma l'arte, si pensa, non può essere asservita al gusto delle masse. Oltre a manifestare disprezzo per i gusti delle suddette masse, questo modo di vedere le cose offre un alibi agli incapaci (non è il film a essere brutto, è il pubblico a non capire).

Il finanziamento pubblico diretto genera conformismo, addirittura, tra gli studiosi di cinema, c'è chi ha teorizzato l'esistenza di un nuovo genere: il film Mibac ovvero ligio nel presentare i temi politicamente corretti graditi a chi assegna i fondi. C'è un grande passaggio culturale da compiere: affidare allo Stato il compito di dare regole chiare e lasciare che vincano i migliori.

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