Andrea Acquarone
Lo chiamano risarcimento, ma chissà se davvero basta. Nove anni d’inferno, e una carriera distrutta, a Laura Antonelli, la donna che gli italiani sognavano tra le lenzuola, capace di far innamorare registi e attori, varranno 108mila euro.
Una storiaccia iniziata quando lei aveva forse già imboccato il viale del tramonto. Ma la sua stella cadde, definitivamente, una sera di primavera. Era aprile, il 27, anno 1991. Aveva il volto gonfio d’alcol, gli occhi vitrei e i capelli scarmigliati, quando aprì la porta della sua villa. Davanti un maresciallo dei carabinieri. «Venga, si accomodi... C’è una festa», biascicò lei. Lei, la donna in camicia da notte, stavolta tutt’altro che lasciva, si chiamava Laura Antonelli. La diva, la conturbante protagonista di Malizia, l’attrice che Luchino Visconti aveva definito «la più bella dell’universo». Aveva la droga in corpo Laura. Cocaina. Sola e abbandonata in quella villa stile hollywoodiano di Cerveteri, in cui ormai sbandava sognando un futuro ancora da «divina». Ma nel suo sguardo blu ormai stinto, nelle sue forme sfiorite non c’era più nemmeno un lontano ricordo di quel sogno che l’aveva eletta icona della bellezza. Su un tavolo i carabinieri trovarono 24 grammi di cocaina. E per lei scattarono le manette. Detenzione ai fini di spaccio, la legge a quei tempi non prevedeva la dose media. Fu anche condannata a tre anni e sei mesi. Aveva appena 50 anni, magari troppi per avventurarsi in un altro nudo d’autore, troppo pochi per concludere una storia magica nella polvere. Con la mente sconvolta, gli incubi e ombre che le facevano vedere il diavolo. Nove anni dopo Laura Antonelli fu assolta da quell’infamante accusa di spaccio. E i suoi avvocati chiesero allo Stato i danni. «Processo troppo lungo, eccessivo dover aspettare nove anni per ottenere giustizia». Il criminologo Francesco Bruno, stilò addirittura una perizia. Concludendo che la sindrome di cui la Antonelli soffriva sarebbe dipesa in gran parte proprio dalle disavventure giudiziarie. La Corte d’appello di Perugia nel 2003 diede loro ragione. Ma l’entità del risarcimento non soddisfò i legali dell’attrice. «L’equa riparazione», consisteva in diecimila euro. Pochi per una vita rovinata ancor più di quanto non fosse.
Adesso, quindici anni dopo, anno 2006 i giudici hanno deciso per un maxi rimborso, il primo di quest’entità. E dovrà pagarlo il ministero della Giustizia: 108mila euro, oltre agli interessi, per i danni di salute e di immagine patiti a causa della «irragionevole durata del procedimento». Lo ha deciso la corte di appello civile di Perugia presieduta da Sergio Matteini Chiari dopo che la Corte di Cassazione, accogliendo un ricorso degli avvocati Lorenzo Contrada e Dario Martella, aveva giudicato non adeguati i diecimila euro precedentemente assegnati alla Antonelli. «Sono contenta, non me l'aspettavo.È un risarcimento significativo per tutto il male che ho subito», si è limitata a commentare l’ex diva con i suoi legali. Lasciando anche intendere che una parte di questi soldi sarà devoluta in beneficenza.
«In tutto questo tempo la Antonelli è vissuta con l'idea di doversi fare anni di galera e quando è arrivata l'assoluzione era già troppo tardi perché era già scattato il meccanismo della depressione», puntualizza l'avvocato Contrada che spiega la tesi sostenuta davanti alla Corte d'appello di Perugia che ha accordato il risarcimento record. «In buona sostanza è stato riconosciuto il nesso tra la lungaggine del processo penale e lo stress psicofisico della mia cliente».
«Non si conoscono precedenti in cui i giudici abbiano accordato una simile somma per la lungaggine del processo - evidenzia ancora Contrada -. Anzi, tale decisione apre un precedente molto importante e pericoloso per le casse dello Stato: considerato che in Italia i processi durano anche più di nove anni, o il legislatore mette mano alla legge, o si dovrà preparare a sborsare migliaia di euro».
Non solo.
Peccato che tutto ciò non possa restituirci anche quella splendida donna in vestaglia e reggicalze che, irraggiungibile, saliva le scale. Guardandoci dall’alto.
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