Sottosegretario Laura Ravetto, cosa pensa della sospensione di tre mesi decisa dal consiglio dell’Ordine dei giornalisti per Vittorio Feltri?
«Credo che sia pericoloso far passare il principio per cui, se un giornalista sbaglia in buona fede, debba essere messo in croce. Tra l’altro il diffamato (Dino Boffo, ndr) non ha proceduto nell’azione legale contro Feltri. La condanna è arrivata poi da un Ordine che si è costituito nel 1925, un periodo storico in cui la soluzione dei conflitti avveniva nell’ordinamento corporativo, in un quadro storico ben specifico, non al livello democratico attuale».
L’errore è stato però considerato dalla categoria come non emendabile.
«Feltri è uno di quei giornalisti che non aspetta di farsi passare le carte da qualche cancelliere compiacente. Tenta ricostruzioni. Nel caso Boffo, ha pubblicato una parte di notizia non corretta. Per questo il giornalista, secondo il suo codice deontologico, ha il dovere di rettificare. Feltri l’ha fatto, addirittura sulla prima pagina del Giornale. Nonostante questo si è arrivati a un processo disciplinare come mai ne ho riscontrati di recente».
Un processo in cui il consiglio si è lacerato.
«Credo che Feltri sia stato colpito prima come simbolo che come giornalista».
Il bavaglio «interno», lei dice, può essere più pericoloso o subdolo per i giornalisti vicini alla sua area politica?
«Il problema sta nel clima culturale di questo momento. Che sarebbe successo se il medesimo trattamento fosse stato riservato a un giornalista di sinistra? E come mai non registriamo provvedimenti disciplinari altrettanto netti nei confronti di giornalisti in alcuni casi condannati per calunnia, o che portano avanti campagne giornalistiche sulle quali mi chiedo perché non intervengano le autorità preposte alla tutela della privacy? Sembra passare il principio che se sei un giornalista di sinistra sei libero di infangare, di guardare nelle lenzuola, e passi pure per un eroe».
Che significato dà alla sospensione?
«Forse si è voluto dare un avviso ai naviganti.
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