Cronache

Lavoratori unitevi: fermiamo la guerra

Il secco no alla tesi della Fallaci: «Non c’è differenza fra chi muore in Occidente e chi in Irak»

Gli orrendi attentati di Londra stanno rilanciando un ossessionante coro politico e massmediatico a favore della guerra preventiva e globale che, scatenata dagli Stati Uniti e dai loro alleati per garantirsi il dominio sulle ricchezze del mondo e sui territori strategici, è stata finora giustificata come guerra anti-terrorismo e per la democrazia. Nessuno sa quali forze siano davvero dietro questi attentati e solo i servizi segreti e militari statunitensi potrebbero dirci cosa sia oggi (e se esiste ancora) l’organizzazione centralizzata denominata «Al Qaeda», visto che proprio essi inventarono, organizzarono e finanziarono, per utilizzarla in Afghanistan contro gli occupanti sovietici, la struttura diretta da Bin Laden.
Ma tutti sembrano dare per scontato che la guerra preventiva e globale, lungi dal fermarsi, debba anzi allargarsi ed approfondirsi per estirpare il «terrorismo». In realtà ciò che opera non è una presunta «spirale guerra-terrorismo», ma in azione c’è una identità mostruosa e spietata che sta dilagando dappertutto nel mondo e che, come segnala efficacemente l’editoriale del Manifesto dell’8 luglio 2005, «sarà bene chiamare con il suo nome: guerra».
Smettere di pensare che esiste una sua versione legale da cui ricavarne una illegale chiamata terrorismo. Che differenza c’è fra chi muore nella metropolitana di Londra mentre va al lavoro e chi nella capanna di un piccolo villaggio iracheno mentre prepara il pane?
E, se così è, bisogna provare orrore per i morti di Londra come per quelli di Falluja e non considerare un morto «occidentale» più importante di mille morti iracheni e magari proporre di manifestare per i morti londinesi mentre nulla si è fatto quando decine di migliaia di innocenti civili iracheni venivano trucidati con armi terrificanti nell’apocalittico olocausto di Falluja.
Quello che noi dobbiamo fare è contribuire a fermare la guerra, fermando innanzitutto il contributo italiano ad essa. Dunque, qui ed ora, rilanciare la battaglia per il ritiro delle truppe dall’Iraq, a partire da quel passaggio cruciale che nei prossimi giorni sarà il voto parlamentare per il rifinanziamento della missione militare italiana in Iraq.
Il Movimento, nella giornata del voto, deve far sentire con grande forza la propria voce sotto il Parlamento affinché si impongano il no al rifinanziamento ed immediato ritiro delle truppe italiane. Solo così la nostra voce avrà avrà quella autorevolezza e credibilità guadagnata nel mondo il 15 febbraio 2002 e riconfermata anche in questi giorni in Scozia nelle mobilitazioni anti-G8, e dimostrerà inconfutabilmente che agiamo senza sosta per eliminare tutte le guerre, tutte le bombe, tutte le stragi, tutte le politiche del terrore.
Per questo davvero richiamiamo le «comuni radici» internazionali del movimento dei lavoratori e ci proponiamo di disertare da questo campo di battaglia. per questo ancora una volta diciamo ai nostri fratelli lavoratori, irakeni o inglesi che siano, che il loro nemico, il capitalismo globalizzato e militarizzato, è il nostro comune nemico e contro di esso lottiamo. Per uscire da questa guerra, per spezzarne la logica terroristica, vogliamo che l’Italia ritiri subito il suo contingente militare in Iraq.

Chiediamo inoltre a tutti coloro che hanno a cuore la pace di perseguirla apertamente, senza incertezze e ambiguità.

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