Il museo è suo. E quindi anche la scena. Tutta per lei, tutta per Her Majesty Zaha Hadid, la first lady del museo, larchistar anglo-irachena e superstar hollywoodiana che ha pensato, progettato e realizzato il Maxxi. «Queen of Today», lha introdotta amorevolmente il presidente Pio Baldi. Queen for a day.
Zaha Hadid è arrivata in ritardo e circondata dalla security, come si conviene alle kermesse e come si impone alle dive: total black, grande cappa trapuntata di Yamamoto, spolverino asimmetrico e leggings, infradito, smalto celeste polvere, gioielli griffati Kapoor e pochette Prada. Che non è uno sponsor. Anche il Maxxi - lavanguardistico, fluido, imponente, sinuoso Maxxi - ha il suo red carpet.
Zaha, essendo una regina, è lultima a parlare, in traduzione simultanea e sopra un religioso silenzio. Ricorda la prima volta che venne a Roma da bambina negli anni Sessanta, quando si fece scattare una foto davanti alla fontana di Trevi «tutto mi sarei aspettata fuorché quello che poi è successo» ringrazia Sandro Bondi e i suoi predecessori «E sì che ce ne sono stati molti. A ogni nuovo governo venivo a Roma per incontrare i ministri con un patema danimo...» - si scusa con le due direttrici, Margherita Guccione e Anna Mattirolo «Mi spiace se mi sono comportata male quando mi chiedevate unopinione e io rispondevo sempre che era orribile». E, prima del congedo, ricorda al presidente del Maxxi «che questo è un progetto ancora incompiuto», senza dire ma alludendo, che il museo è finito solo al 65% (nonostante si sia speso il doppio del budget iniziale che era di cinquanta milioni). Facendo così sobbalzare sulla sedia tutti i presenti (e strategicamente non cera il ministro dei Lavori pubblici, altrimenti sarebbe cascato), e obbligando Pio Baldi a confessare che «ci siamo fermati perché limpresa diventava irrealizzabile economicamente.
LM
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