
Può un atto di vandalismo contro un collega costare il posto di lavoro? A prima vista sembrerebbe di sì, ma la Corte di Cassazione la pensa diversamente. Con la sentenza n. 22593/2025 i giudici di piazza Cavour hanno sorpreso molti datori di lavoro: il dipendente che aveva sputato e preso a calci l’auto di un collega non poteva essere licenziato. Per la Suprema Corte il gesto resta rozzo e censurabile, ma non abbastanza da giustificare la massima sanzione disciplinare.
Il gesto nel parcheggio e il primo verdetto
Tutto nasce in un parcheggio aziendale. Un dipendente, appena arrivato, scende dall’auto su cui viaggiava e, spinto dalla rabbia, sputa sulla macchina di un collega e colpisce con un calcio lo specchietto laterale, staccandolo e portandolo via.
Un episodio che non passa inosservato: l’azienda lo viene a sapere e avvia subito un procedimento disciplinare, scegliendo la via più dura, il licenziamento. Il lavoratore però non ci sta e si rivolge al giudice. In primo grado ottiene ragione: per il tribunale il gesto era punibile, ma solo con una multa o una sospensione, come previsto dall’articolo 53 del Ccnl gomma-plastica.
L’appello: sì al licenziamento
La partita continua in appello e qui arriva il ribaltamento. Il giudice di secondo grado ritiene che quel calcio allo specchietto costituisca una grave violazione della disciplina aziendale, un atto incivile che mina i rapporti sul lavoro. Di conseguenza, il licenziamento viene ritenuto legittimo, richiamando l’articolo 54 del contratto collettivo, che prevede l’espulsione per le infrazioni più gravi o per comportamenti che arrecano nocumento morale o materiale all’azienda.
Il licenziamento annullato
Il colpo di scena arriva però in Cassazione. Per la Suprema Corte, il gesto – per quanto deplorevole – non era collegato direttamente allo svolgimento delle mansioni lavorative, visto che era avvenuto fuori dall’orario di lavoro.
I giudici hanno sottolineato che lo stesso contratto collettivo prevede sanzioni conservative, e che la gravità di un comportamento non basta a trasformarle automaticamente in licenziamento. Risultato: annullata la decisione d’appello e licenziamento considerato sproporzionato.
Un precedente che fa discutere
La sentenza apre una riflessione: un atto vandalico in azienda non comporta necessariamente la perdita del posto, se manca il collegamento diretto con il lavoro. Resta però il tema della fiducia tra datore e dipendente, che un episodio simile non può non incrinare.
Il verdetto mette in luce l’incertezza delle regole: clausole contrattuali generiche e una normativa sul licenziamento stratificata rendono difficile prevedere con chiarezza l’esito dei contenziosi. Da qui la richiesta, sempre più pressante, di un intervento legislativo organico.