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Landini insiste sulla settimana corta. Ma ecco perché è un'utopia

Tutti i limiti della proposta di settimana corta della Cgil e Landini. Ennesimo spot del sindacato di sinistra

Landini insiste sulla settimana corta. Ma ecco perché è un'utopia

Maurizio Landini su La Stampa torna a elogiare la settimana lavorativa di quattro giorni. "Di fronte alla rivoluzione tecnologica, che porta ad un aumento di profitti e produttività, si deve praticare la ridistribuzione della ricchezza e di come viene accumulata, anche attraverso la riduzione dei tempi di lavoro", dichiara il segretario della Cgil al quotidiano torinese, sottolineando che "la riorganizzazione del lavoro, e la disponibilità ad un maggior aumento dei servizi e della produttività, vanno redistribuiti in ricerca e innovazione, ad esempio".

Un modello erga omnes di settimana lavorativa su quattro giorni come quella pensata da Landini non funziona per una molteplice serie di motivi. Il primo, chiave e fondamentale, è quello della disponibilità di risorse da impiegare nel mercato del lavoro: la settimana corta è un sistema sperimentato in maniera positiva e proficua soprattutto nei sistemi altamente terziarizzati o nei contesti produttivi dell'economia dei servizi legati a imprese dall'alta intensità occupazionale. Un sistema economico come quello dell'Islanda, ad esempio, può permettersi di occuparsi della settimana lavorativa di quattro ore nel quadro di un Paese di popolazione di soli 300mila abitanti, così come un grande sistema bancario come quello di Intesa San Paolo può focalizzarsi su una transizione di questo tipo per concentrare al meglio efficienza e produttività del sistema di investimenti e relazioni commerciali che rappresentano il core business dell'istituto. Ma al contempo, come pensare la stessa cosa della parcellizata galassia di piccole e medie imprese industriali che rappresentano il cuore del sistema produttivo italiano?

Nel mondo delle Pmi e della provincia, molto spesso, i dipendenti sono più che lavoratori al servizio dell'impresa. Sono - e il sindacato questo lo dovrebbe sapere bene - carne viva dell'impresa, ingranaggi fondamentali, padroni e custodi della capacità innovativa e della cultura imprenditoriale. Dunque co-partecipi di opportunità e rischi. La settimana lavorativa da quattro giorni, in quest'ottica, rischia di trasformare al ribasso il fattore lavoro, deprimendolo a mera unità di conto sia per il cittadino che per l'impresa.

In secondo luogo c'è un fattore di mismatch tra domanda e offerta delle imprese. Il mismatch tra scarsa offerta di posti di lavoro qualificati e domanda crescente delle imprese sta, secondo l'Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro, "diventando una dinamica strutturale del mercato del lavoro". Il mismatch ha toccato il 40%: ovvero quattro posti di lavoro su dieci che devono essere colmati lo sono per carenza delle imprese di trovare personale specializzato. In quest'ottica la crescita di organico necessaria per sostenere la settimana di quattro giorni rischia di aumentare questa asimmetria.

Terzo punto, non toccato da Landini, il tema che la produttività è diversa da settore a settore e anzi la settimana "corta" può spingere a estrarre maggiormente lavoro e valore aggiunto da ogni singola ora del dipendente. "In uno studio sull’esperimento fatto in Nuova Zelanda sulla settimana corta, i ricercatori hanno visto in effetti come in quei quattro giorni non solo era aumentato il carico di lavoro, ma anche le pressioni dei capi sulla misurazione delle performance e della produttività", fa notare Linkiesta. "Le giornate di lavoro si allungano, con il conseguente aumento dello stress per i lavoratori e la riduzione del benessere. Insomma, ridurre i giorni di lavoro non significa ridurre il carico di lavoro, anzi". Far calare dall'alto una riforma tanto seria per puri motivi ideologici rischia, paradossalmente, di non fare il bene dei lavoratori.

Il tema della transizione di modalità di lavoro, rapporti di produzione, dinamiche di sviluppo dell'economia è così importante e delicato che non può essere pensato come a una politica "spot" come il segretario della Cgil intende proporre.

Prima che sia messa in campo tale svolta, serve che le opportunità di lavoro siano create in forma maggiore, ben retribuita e, soprattutto, meno tassata. Una strada su cui la riforma fiscale del governo Meloni intende incamminarsi. E che oggigiorno non appaiono all'orizzonte nell'agenda della Cgil di Landini.

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