L'avvocato d'affari ha perso le unghie ma ha trovato l'ironia

Alla seconda ristampa in sole tre settimane «Studio illegale» (Marsilio), il primo romanzo nato dal successo di un blog dedicato agli «schiavi» dei più prestigiosi studi legali milanesi

Possiamo già definirlo un caso editoriale per almeno un paio di motivi. Il primo è che «Studio illegale» (Marsilio editore) è già arrivato alla seconda ristampa in sole tre settimane dall'uscita. Un successo dovuto esclusivamente al passaparola dei lettori, visto che l'autore (che si nasconde dietro il nome de plume di Duchesne) rifiuta ogni tipo di promozione. Il secondo motivo è che a differenza di tanti altri best seller nati da operazioni decise a tavolino, il libro in questione è il frutto maturo (e gustoso) di un altro successo, ottenuto dal blog che lo stesso autore ha costruito in questi ultimi anni all'indirizzo web studioillegale.splinder.com. Un blog dove viene fatta luce sui lati scuri di una professione - quella di avvocato d'affari - che al pubblico dei più sembra ancora una delle poche isole felici e rassicuranti dello yuppismo post-moderno e globalizzato. In una delle prime note del blog (aprile 2007) Duchesne scrive: «Avete mai sentito parlare di Bonelli Erede Pappalardo, Clifford Chance, Freshfields, Gianni Origoni Grippo, Chiomenti, etc.? Sono studi legali («law firm») di consistenti dimensioni, che assistono banche e imprese nelle più ricche transazioni («deal»). A farne parte sono centinaia di professionisti, dai 23/24 anni in su, laureati con ottimi voti, buone competenze linguistiche e una discreta dose di ambizione e volontà. I moderni schiavi». Tra i primi commenti anche un lapidario: «Bravo Duchè.. scrivi bene, se fossi un libro ti comprerei...» firmato Coolpixer. Ebbene, c'è da giurarci che Coolpixer sia stato tra i primi a entrare in libreria per acquistare una copia di «Studio illegale». Il romanzo pubblicato da Marsilio, però, può essere considerato un caso editoriale anche semplicemente abbandonandosi alla piacevole lettura delle avventure cui incorre il protagonista, un giovane avvocato che ci propone un affresco ironico e disincantato di un mondo non poi così dorato come molti sospettano. Insieme con i broker e i capitani d'industria, i legali d'affari sono stati tra le figure predilette da quei romanzi di genere (e non) che hanno voluto restituirci un'idea fedele del rampantismo e yuppismo degli anni Ottanta. Da allora di cose ne sono passate sotto i ponti dell'economia e della società. E quindi pensare a queste figure sociali come graniticamente radicate nelle posizioni regalate loro dal nostro immaginario è decisamente fuori luogo. I rampanti di allora accusano, come tutti noi, i colpi della crisi. E soprattutto della globalizzazione che tutto relativizza. Anche il successo economico e professionale. Duchesne, insomma, - forte non solo della sua esperienza ma anche di quella di tutti coloro che hanno frequentato attivamente il blog - ci suggerisce che qualcosa è cambiato. Resistono ancora i riti della Milano da bere (dove il romanzo è ambientato), però diluiti dal più corrosivo umorismo dell'autore. Resiste ancora il rito dell'aperitivo (o afterhours) con i colleghi. E lo spuntino chic per la pausa pranzo è ovviamente quello di Mandara. Ma i conti non tornano e il protagonista del romanzo, un giovane avvocato in piena crisi esistenziale e sentimentale, non riesce più a trovare appagante il fine settimana sulla neve o la trasferta a Dubai (dove tanti milanesi si divertono anche semplicemente a giocare a golf in maglietta in pieno inverno). Inizia essere faticoso gestire il successo. Semplicemente perché quest'ultimo è divenuto una parola senza significato. I giovani avvocati d'affari non hanno più la faccia di Tom Cruise (che Pollack aveva scelto per il protagonista del «Socio» tratto dal romanzo di John Grisham). Piuttosto si notano quei segni di cedimento propri di chi non riesce più a prendersi sul serio. E se anche l'ultimo fortino (il successo economico e lo status sociale) cede alla valanga inarrestabile dell'ironia, allora non c'è più scampo.

Se nel 1991 si poteva gridare al capolavoro letterario per «American Psycho» di Bret Easton Ellis che analizzava con spietata lucidità tutti i limiti (e i lati oscuri) del rampantismo reaganiano degli anni Ottanta scegliendo come protagonista uno schizofrenico trentenne dall'irrefrenabile istinto omicida, oggi possiamo semplicemente sussurrare sottovoce che i rampanti di oggi hanno trovato in Duchesne un una voce pacata e autoironica che trasforma la vita del professionista in una vivace e intelligente sit-com.

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