L'apertura delle urne ha dato vari segnali e uno dei più interessanti riguarda la Lega. Dopo che un mese fa aveva era uscita pesantemente sconfitta in Toscana, dove aveva giocato la carta Vannacci, il partito di Matteo Salvini ha riscosso un ampio sostegno in Veneto, dove temeva il sorpasso da parte di Fratelli d'Italia e invece incassa il doppio dei propri alleati-rivali. In una regione tanto desiderosa di autonomia, i leghisti valicano la soglia del 36% dei voti e possono considerarsi più che soddisfatti.
Leggendo nel dettaglio i risultati veneti, tra l'altro, per giunta colpisce l'exploit clamoroso ottenuto dalla formazione di Riccardo Szumski (costruita sulla contestazione del biennio pandemico, ma anche nutrita di riferimenti identitari) e pure l'elezione a consigliere regionale di quello che dieci anni fa fu il candidato degli indipendentisti, Alessio Morosin, ora entrato nel parlamentino regionale in una lista collegata al nuovo presidente post-Zaia, Alberto Stefani.
La lezione appare semplice. Se la Lega rivendica la propria identità e insiste sui temi dell'autogoverno, ha un proprio spazio, ben distinto da quello ora occupato da Giorgia Meloni; e si tratta di un'area tanto vasta da permettere pure altre rilevanti performance. Questo non significa che Salvini debba accantonare le battaglie contro il green deal e le follie ecologiste, contro la burocrazia europea, contro l'immigrazione di massa e contro il politicamente corretto. Al contrario, proprio un suo delinearsi quale difensore di ogni specifica comunità regionale e locale da Nord a Sud gli permetterebbe di interpretare con ancora maggior decisione quei temi.
Senza dubbio l'Italia non è il Veneto. Non ovunque abbiamo quel forte attaccamento alla propria realtà che contraddistingue le terre della Serenissima. Al tempo stesso, Salvini deve prendere atto che in Campania una Lega genericamente di destra si ferma al 5% e in Puglia all'8%: meno della metà dei voti ottenuti da Fratelli d'Italia.
Dopo una Lega nordista (quella di Bossi) e dopo una Lega nazionalista, sembra allora venuto il momento di valutare la possibilità di delineare un progetto autenticamente federalista, che intercetti quella voglia di autogoverno che a ben guardare non è forte soltanto in Veneto, ma anche in Sardegna e in Sicilia, a Napoli e in Friuli, in Lombardia e in Liguria, e via dicendo.
Non è un caso che, appena eletto, il nuovo governatore campano Roberto Fico abbia dichiarato senza mezzi termini di non volere l'autonomia differenziata: e non parlava della Campania, ma semmai delle altre regioni.
Fico sa bene che, a ogni latitudine, molti nutrono il sogno di un riassetto elvetico dell'attuale Repubblica, ma sa anche che dirigersi in quella direzione sbarrerebbe la strada al populismo spendaccione dei Cinquestelle e imporrebbe una diversa, e migliore, qualità delle nostre amministrazioni.Le urne hanno mandato alla Lega un messaggio chiaro e forte. Ora si tratta di vedere se sarà accolto nel modo giusto.