Laura Verlicchi
«La legge antiriciclaggio deve essere profondamente revisionata». Una richiesta su cui ragionieri e dottori commercialisti sono perfettamente concordi, tanto che i rispettivi presidenti, William Santorelli e Mario Damiani, hanno firmato una nota congiunta, in cui non usano mezzi termini per criticare la normativa, entrata in vigore lo scorso 22 aprile, in attuazione della direttiva comunitaria: «Costringe - dicono - la professione a una innaturale posizione di asservimento alle autorità e di delazione nei confronti dei clienti».
Ma che cosa prevede esattamente la legge? Le nuove norme, in sostanza, individuano gli obblighi di identificazione della clientela, di registrazione e di segnalazione delle operazioni sospette. Un controllo che prima spettava solo alle istituzioni finanziarie (banche, Sim, Sgr, assicurazioni) mentre ora riguarda tutti i ppofessionisti e i commercianti che trattano oggetti di valore e preziosi: dai commercialisti, dunque, agli avvocati e ai notai, fino a immobiliaristi, antiquari, gioiellieri e perfino impiegati dei casinò. Tutti questi soggetti sono tenuti a identificare i clienti che fanno transazioni superiori ai 12.500 euro (anche nel caso in cui vengano fatte attraverso più operazioni in un periodo circoscritto di tempo), registrarne i dati e archiviarli. Se riterranno che tali operazioni siano «in odore» di riciclaggio, saranno tenuti a segnalarle allUfficio italiano cambi: qualora mancassero di farlo e la transazione si rivelasse in seguito malavitosa, si aprirebbe nei loro confronti un procedimento amministrativo, che potrebbe concludersi con una sanzione, dal 5 al 50% del calore delloperazione.
Si tratta però di obblighi inconciliabili con lessenza stessa della libera professione giuridico economica, a giudizio dei commecialisti. «Tutta lattività professionale dei dottori commercialisti e dei ragionieri - spiegano - ruota attorno allequidistanza tra le autorità, da una parte, e i clienti, dallaltra. Con le prime mantengono un rapporto di leale collaborazione e di indipendenza, mentre con i secondi svolgono lattività professionale sulla base di un mandato di natura fiduciaria. Il caso della disciplina antiriciclaggio rischia però di rompere definitivamente questo equilibrio, gravando il mondo delle professioni di un peso burocratico, professionale e addirittura personale che non è assolutamente in grado di sopportare».
Santorelli e Damiani ricordano fra laltro che la stragrande maggioranza degli studi professionali nel nostro Paese ha dimensioni medie, se non piccole, e che quindi ladattamento di una disciplina «tagliata su misura» di realtà molto più grandi, come le banche, comporta inevitabilmente sproporzioni. Ad esempio, lanonimato che viene «concesso» al professionista che procede alla segnalazione è un paradosso, dato che spesso si tratta dellunica persona a conoscenza delloperazione svolta dal cliente, che quindi risale inevitabilmente allidentità del segnalante.
Non solo: per i commercialisti, la stragrande maggioranza delle informazioni che saranno conservate presso gli studi professionali non avranno alcun tipo di utilità per eventuali indagini, in quanto si moltiplicherà una pletora di segnalazioni non pertinenti e superflue. «La verità - dicono - è che lunico modo veramente efficace per individuare operazioni finanziarie sospette fa riferimento alla movimentazione del denaro o di altri flussi finanziari che avviene presso ben altre realtà: le banche e gli intermediari finanziari. Tuttavia, esiste una normativa comunitaria che impone allItalia il rispetto di vincoli ineludibili. Ecco perché chiediamo al legislatore di rivedere totalmente e profondamente la disciplina antiriciclaggio prevista per il mondo delle professioni, attraverso la specificazione delle attività svolte da dottori commercialisti e ragionieri (e in un prossimo futuro anche dagli esperti contabili) che sono soggette agli obblighi antiriciclaggio, che comportano cioè lintervento o la partecipazione dei professionisti in operazioni costituite solo da transazioni di denaro o titoli equipollenti.
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