Lepanto, la battaglia che salvò l’Occidente dall’islam

Caro Granzotto, in riferimento al tema della battaglia di Lepanto, risulta da certi studi che essa in buona sostanza non servì a niente, che fu, in due parole, una vittoria di Pirro. Se così fosse come mai viene tanto celebrata dai cristiani?


Proprio così, caro Ravello: negli ultimi tempi va molto di moda (tra i pacifisti e i filoislamici con esibizione di keffia al collo) sostenere che la vittoria di Lepanto non servì a niente. Però, oltre a dare alla cristianità nuovo slancio e fiducia nelle proprie forze, tolse definitivamente all’islam il dominio del Mediterraneo. Una vera e propria bonifica che ebbe immediate ripercussioni sull’economia consentendo altresì alle popolazioni rivierasche, per secoli martoriate da brutali incursioni saracene («Mamma li turchi!»), di tirare il fiato. E mi dica lei se è poco, se è niente. Certo, non mise, né poteva metterlo, fine alla percussione ottomana, alle ambizioni imperialiste, a danno dell’Europa, della Sublime Porta. Per ottenere quel successo bisognerà aspettare ancora 126 anni, bisognerà aspettare la vittoria di Zenta. Lì, sulle rive del fiume Tibisco, nel 1697, Eugenio di Savoia evaporò le ambizioni dell’islam il quale, a partire da Poitiers, aveva provato a penetrare - aprendosi ovviamente la strada con le armi - nell’Europa cristiana per impadronirsene e islamizzarla. Come gli storici dell’una e dell’altra parte ammettono, chi più e chi meno a malincuore, se nel 1683 Kara Mustafà fosse riuscito ad espugnare Vienna, noi oggi saremmo soggetti alla sharia e pregheremmo ginocchioni rivolti alla Mecca.
Su queste vicende le consiglio di leggere, caro Ravello, L’ultima crociata di Arrigo Petacco (Mondadori). Una narrazione rigorosamente storica che ripercorre l’intero millennio che vide in conflitto le due civiltà e che si fece convulso quando nell’islam parve giunto il momento di impossessarsi della «mela d’oro», Vienna, per poi piombare e far propria la «mela rossa», Roma. Petacco ha una penna agile e suadente, non rinuncia all’aneddoto e al ritratto, tracciato con la sicurezza e il mestiere che gli viene dal giornalismo, tutte cose che rendono assi piacevole, oltre che interessante, la lettura delle sue opere. L’ultima crociata diventa poi indispensabile per meglio comprendere, e quindi giudicare e quindi ancora culturalmente affrontare, ciò che per noi è ancora cronaca: la ripresa della jihad. Perché cambiano i tempi, cambiano gli uomini e le idee, cambiano ovviamente le armi e il modo di dar battaglia. Ma non il concetto di jihad e le pulsioni che essa scatena.

Meglio quindi essere, come ormai s’usa dire, informati sui fatti. Riferendosi proprio alla battaglia di Zenda, Arrigo Petacco scrive: «Dopo di allora il sogno islamico di cogliere la “mela rossa” in piazza San Pietro tramontò definitivamente. Almeno così si spera...». Almeno.

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