La dolorosa arte dell'elemosina

L'esordio letterario di Max De Paz

La dolorosa arte dell'elemosina
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Quante volte vi sarete chiesti com'è possibile che una persona normale finisca sulla strada a fare la vita del barbone, un'esistenza per qualcuno addirittura affascinante con quel suo senso sghembo di libertà?

Max De Paz di certo non ne ha sperimentato l'ebbrezza, con i suoi ventitré anni, ma deve aver individuato in quella scelta e in quel mondo una fonte ricca di spunti letterari. Mendicare (Nottetempo, traduzione di Annalisa Romani, pagg 127, euro 16,50) è il suo romanzo d'esordio e descrive senza giri di parole e fastidiose infiorettature in cosa si sostanzi la quotidianità dei senzatetto, in una delle zone più celebrate di Parigi, il Quinto arrondissement, quello che comprende parte del Quartiere Latino, il Panthéon e la Sorbona.

A raccontarcelo è un ventenne dalla famiglia disgregata, con un fratello precipitato nel baratro della tossicodipendenza e una madre crollata sotto i colpi della depressione e del susseguente sfratto. Perché, inutile negarlo, alla base della condizione del senzatetto c'è sempre un trauma. E la voce narrante ci prende per mano e ci accompagna passo dopo passo, senza sconti e senza ridicoli slanci poetici, alla scoperta di quel sottobosco di varia umanità in cui si annidano i tratti più disparati dell'essere umano: vanità, narcisismo, collera, felicità, disperazione, sopraffazione, persino amore. Lo fa, presentandoci i compagni di avventura: Philippe, il barbone anziano con cui i passanti si fermano a conversare, attratti dalla sua aura di persona acculturata, sempre intento com'è a leggere un libro, quello che "piace un sacco a tutti i borghesi"; Tamás, il rom che intimidisce con la sua aria da rom e che vive sulla strada insieme alla numerosa famiglia; Moussa, il nero africano approdato a Parigi dopo aver sudato come vu' cumprà sulle spiagge della Versilia, che è "sempre educatissimo ma siccome è nero e non legge non attacca". E poi c'è persino lo spazio per un contrastato interludio amoroso, con la sbandata Élise, incontrata su un marciapiede.

De Paz pare conoscere perfettamente i meccanismi della narrazione ma pure le sfumature della vita sulla strada.

Il rischio di banalizzare la sofferenza dei senzatetto è costantemente dietro l'angolo ed è incredibile quanto un ventitreenne, al primo romanzo, ne sembri consapevole e non incappi in descrizioni caricaturali e semplificazioni strappalacrime.

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