Letizia, due anni con valigia «clandestina» in casa mia

Sfollata dal 2006, ha vissuto da parenti e perfino nell’appartamento pericolante. Ora partono i restauri

La notizia è di quelle che lascia senza fiato, perché quasi non ci credi più. E invece ecco un sms che ridona spazio alla speranza: «Si comincia». Letizia Ricaldone, inquilina del civico 7 di via Lomellina, interno B, ricorda il momento in cui ha saputo che sarebbero iniziati i lavori per la ricostruzione della palazzina crollata il 18 settembre 2006, in seguito ad una fuga di gas.
I lavori per ora riguardano solo la messa in sicurezza dello stabile perché la liquidazione dell’acconto da parte dell’assicurazione sta arrivando con il contagocce. Ma intanto qualcosa si muove e Letizia sta per mettere fine alla sua storia «con valigia». Delle 35 famiglie sfollate, alle quali il Comune ha trovato sistemazione in piazzale Dateo, lei è l’unica a non aver ricevuto un alloggio. «Risultavo intestataria con mia sorella di un appartamento che ci ha lasciato nostra madre», spiega.
Ma è anche l’unica «temeraria» fra i condomini che, sfidando ogni pericolo, ha continuato ad andare a dormire nel suo appartamento inagibile anche se è tra i pochi rimasti in piedi dopo la tragedia che costò la vita a quattro persone fra cui un bambino di sette anni.
«Sapevo di fare qualcosa contro le regole - racconta Letizia che al momento dell’esplosione stava tornando a casa e per qualche minuto è scampata allo scoppio -, ma nessuno avrebbe potuto impedirmi di entrare in casa mia». Era già un anno che girava con la valigia, facendosi ospitare in giro per la città da amici e conoscenti.
Una vera scuola di essenzialità, come la definisce lei. «Ma a un certo punto avevo bisogno di tornare a dormire nel mio appartamento - continua -. Non era un atto di protesta, ma di necessità. E poi, ci sono rimasta solo un mese». A settembre per la precisione, perché dopo è arrivato il freddo e non era più possibile continuare a stare senza riscaldamento. «Per la luce usavo le candele o la pila e portavo l’acqua con i secchi dal cortile. Mi arrangiavo insomma, era un po’ come stare in campeggio».
Cinese take away o qualche altro posto per la cena e poi verso casa, cercando di non farsi notare più di tanto. «Dopo qualche tempo l’amministratore ha avvisato la polizia, dicendo che c’era qualcuno che entrava nel palazzo - racconta ancora Letizia -. Sono arrivati una sera e mi hanno fatto uscire». Da allora la signora Ricaldone si è sistemata dalla sorella, ma adesso non aspetta altro che tornare in quella casa e disfare la valigia una volta per tutte. Le sue cose sono ancora tutte lì, nell’appartamento della scala B e ad essere sincera non si ricorda nemmeno più di quello che ha lasciato là dentro.
Subito dopo il crollo aveva portato via vestiti e documenti, ma niente di più. «Ognuno di noi aveva fatto una lista da dare ai vigili del fuoco perché prendessero quello che serviva - ricorda -. Ci mettevamo al civico 9 e loro dai balconi ci facevano vedere quello che avevano trovato».

Ma dopo ventidue mesi di attesa, Letizia stava iniziando a non sentirla più sua quella casa. «Invece sono bastate poche parole per rimettere in moto sentimenti ed emozioni sepolti. È una bella sensazione, speriamo di poter rientrare il prima possibile», dice sorridendo.

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