250 volte Jane

Il 16 dicembre 1775 nasceva Austen. Per Beckett era "divina", per Woolf la più perfetta delle scrittrici inglesi. Così ha plasmato il nostro immaginario

250 volte Jane

I romanzi di Jane Austen rientrano nella categoria della letteratura terapeutica: basta aprirne uno per sentirsi subito a casa, fra cavalli al galoppo, corpetti, balli, spartiti, lettere, teiere, dialoghi in cui tenersi testa è un’impresa degna di una battaglia napoleonica, schiere di sorelle, zitelle, gentiluomini (più o meno) e un’ironia che aleggia sovrana... Come abbia fatto lei, Jane Austen, figlia di un reverendo, dalla sua scrivania chiusa in una canonica nell’Hampshire, a descrivere un universo di donne e uomini, pettegolezzi, aspirazioni, giudizi taglienti, amori e infelicità che dall’epoca della Reggenza risuona ancora oggi nelle nostre esistenze, è uno dei misteri ancora irrisolti sulla scrittrice, duecentocinquanta anni dopo la sua nascita. Infatti la «divina Jane», come la chiama Samuel Beckett, viene al mondo il 16 dicembre del 1775, in un rigido inverno inglese. E in soli 41 annidi vita (muore a Winchester il 18 luglio del 1817) riesce a crearsi anzitempo quella «stanza tutta per sé», come l’avrebbe definita oltre un secolo dopo Virginia Woolf (secondo cui Austen era «l’artista più perfetta fra le donne, la scrittrice i cui libri sono immortali»), da cui ci regala i suoi capolavori: Orgoglio e pregiudizio, un bestseller già allora, Ragione e sentimento, Emma, Persuasione, Mansfield Park, L’abbazia di Northanger. Tutti, ancora oggi, successi in libreria e al cinema.
In occasione di questo anniversario, la Gran Bretagna la celebra con mostre nei «suoi» luoghi, fra Bath, l’Hampshire e il Dorset, mentre da noi è apparso innanzitutto il secondo volume dei Meridiani Mondadori, sempre a cura di Liliana Rampello e con le traduzioni di Susanna Basso: Romanzi e altri scritti, fra cui una scelta di lettere. Liliana Rampello ha curato anche Un anno con Jane Austen (Neri Pozza), una selezione di brani «d’accompagnamento» dai suoi romanzi; ed è a lei che ci rivolgiamo per parlare della «divina Jane», 250 anni dopo: «Il suo è un romanzo di formazione al femminile: il tema fondamentale è che cosa trasformi le ragazze in protagoniste del proprio destino». La grandezza di Austen è di «raccontare cose così moderne e profondamente radicate in ciascuno di noi attraverso uno stile brillante, spumeggiante, con leggerezza affilata e profondità consistente».
Attenzione: romanzo di formazione femminile non significa che Austen sia una «scrittrice femminile». «È una donna che scrive, ed è una bella differenza - dice Rampello Come Virginia Woolf non scrive per le donne, bensì per tutti, e lo fa scegliendo di raccontare il desiderio femminile di felicità individuale». Il che significa che balli, abiti e conversazioni non siano un diletto: sono «un lavoro», quello di trovare e conquistare l’uomo giusto. E significa anche nessun sentimentalismo: «Austen è ferocemente antisentimentale, ed è tutt’altro che la madre del romance». Certo, ad agire e parlare sono donne e ragazze, per la prima volta in scena «ma senza ideologismi: diventano protagoniste, e questa è una cosa straordinaria per la sua epoca, per il sistema paLE ILLUSTRAZIONI ALL’HOLBURNE MUSEUM Sotto a sinistra, dall’alto: il frontespizio di «Pride and Prejudice» (Joan Hassall, 1957); «Alone. Marianne Dashwood» (William Cubitt Cooke, 1892); disegno del costume di Lady Catherine de Bourgh (Rex Whistler, 1936). Qui sotto, il ritratto di Jane Austen realizzato dalla sorella Cassandra (The Holburne Museum, Jo Hounsome Photography) triarcale e di classe in cui viveva». Ma la figlia del reverendo Austen, oltre a studiare Shakespeare (la centralità del dialogo come motore della trama arriva dal Bardo) è pioniera anche nello stile, grazie al discorso indiretto libero, poi ripreso da Mc Ewan, da Auden, dallo stesso Beckett. Soprattutto, Jane Austen ci racconta ancora oggi come, perfino in una società durissima per le donne, sia possibile costruirsi quella stanza tutta per sé: «Non perde tempo a lamentarsi, perché vuole guadagnarsi la sua libertà. Più che proclamare, lei sa parlare».
Ma come ha fatto a osservare e narrare un mondo da cui sembrava essere esclusa? Lucy Worsley, curatrice all’Historic Royal Palaces, se ne è occupata nel suo A casa di Jane Austen (Neri Pozza), un saggio basato sull’importanza delle case e delle famiglie nei suoi romanzi e nella sua vita «senza fortuna e senza marito» nell’Inghilterra della fine del Settecento: «C’erano alcuni membri più ricchi nella famiglia allargata degli Austen e uno dei suoi fratelli fu adottato da una coppia benestante. Nelle visite a questi parenti poteva immergersi in un altro genere di esistenza e, una volta a casa, scrivere da una prospettiva ben informata, anche se fondamentalmente da outsider, di balli, cene, feste e viaggi in carrozza». Worsley si immagina la scrittrice «molto più crudele e tagliente di quanto i film lascino intendere: sapeva essere terribilmente meschina e scortese, ma era sempre divertente». Worsley, che ha appena scritto La vita segreta di Agatha Christie (Salani), ritiene che le due scrittrici abbiano molto in comune: «Un senso nero dell’humour; nessuno, nelle loro famiglie, si aspettava che facessero qualcosa di “sporco” come guadagnarsi da vivere scrivendo; nessuna delle due era una persona dolce, affettuosa, convenzionalmente gradevole. Ed erano entrambe dei geni».
Entrambe sono anche entrate nel nostro immaginario, per non uscirne mai più. Lo racconta bene la mostra Illustrating Austen, fino all’11 gennaio 2026 all’Holburne Museum di Bath (per gli amanti della serie tv Bridgerton, la sua facciata è la casa di Lady Danbury...), che mostra come i suoi personaggi siano stati ritratti fra Otto e Novecento e di cui vedete alcune esempi in questa pagina: «Il lavoro di Austen ha beneficiato della rinascita ottocentesca dovuta al romanzo illustrato - spiega la curatrice Hannah N. Mills -. Prima del cinema e della tv, erano le illustrazioni a soddisfare il desiderio di intrattenimento visivo del pubblico: oggi la nostra percezione di Mr. Darcy è plasmata dalle interpretazioni di Colin Firth e Matthew Macfadyen, mentre all’epoca erano artisti come Hugh Thomson o Chris Hammond a influenzare l’immaginazione dei lettori».
In mostra ci sono «tre copie di Orgoglio e pregiudizio, fra cui l’edizione Peacock illustrata del 1894, che rese famoso Thomson e che divenne così famosa a sua volta da favorire il successo di Austen nei secoli successivi e da ispirare decine di disegnatori».

Ci sono anche i bozzetti di Rex Whistler per l’adattamento teatrale londinese di Orgoglio e pregiudizio del ’36 e le creazioni di due storici illustratori austeniani, i fratelli Charles e Henry Brock, poi le illustrazioni di Hammond per Ragione e sentimento e le opere di una illustratrice dell’epoca, oltre a quelle di Coralie Bickford Smith, che crea le meravigliose copertine di oggi, per i classici Penguin Clothbound. Una collana irresistibilmente British, proprio come Jane Austen.

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