Letteratura

Vattimo, il cattolico che teorizzò il nichilismo "soft". Rimase sospeso tra relativismo e carità

La sorprendente traiettoria di un accademico di grande spessore scientifico

Vattimo, il cattolico che teorizzò il nichilismo "soft". Rimase sospeso tra relativismo e carità

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Il cattolico che teorizzò il nichilismo "soft". Rimase sospeso tra relativismo e carità

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Negli anni Sessanta, nell’Università di Torino, c’era una divisione molto netta all’interno dei professori di filosofia, quella tra laici e cattolici. Per la verità, questa divisione attraversava con modalità diverse tutti gli atenei italiani: la nuova democrazia, da poco conquistata, non suggeriva apparentamenti politici espliciti: c’erano, ma era più opportuno non renderli evidenti. Si era fatta così strada nel corpo docente, sul terreno specifico degli studi, una distinzione un po’ retorica, un po’ ipocrita, ma molto pratica per ciò che suscita sempre grande interesse e tanta applicazione nel professore universitario: i concorsi per le cattedre da assegnare.
Davvero per semplificare, nell’Università del dopoguerra, che avrebbe dovuto assolvere al compito di formare la cultura della nuova classe dirigente, il potere del docente era misurato dalla sua capacità di far vincere nei concorsi chi voleva lui. Subito una sottolineatura: ciò non aveva niente a che vedere con i taroccati concorsi accademici dei nostri tempi, i cui risultati finiscono in tribunale: allora il potere del docente si considerava nel valore scientifico del suo allievo e, quindi, nella capacità che egli aveva di metterlo in cattedra. Un professore di allora, se avesse messo in cattedra un fesso, significava che anche lui era un fesso.
Dunque, con scale di valore diverse, i docenti partecipavano con grande attenzione e interesse al gioco dei concorsi, e una logica spartitoria – sempre tuttavia facendo salva la qualità – era quella della divisione tra laici e cattolici.
Gianni Vattimo, nella Torino universitaria degli anni Sessanta, apparteneva allo «schieramento» cattolico. Fu allievo di Luigi Pareyson (appunto, cattolico) e il suo pensiero è basato su uno sviluppo originale di quello del suo maestro. Ma chi rappresentava a Torino l’altro «schieramento»? Questo è interessante: un’altra figura di straordinario rilievo nel panorama filosofico italiano: Nicola Abbagnano.Abbagnano era uno studioso dell’esistenzialismo, e fu tra i primi a farlo conoscere in Italia. Attenzione, però, anche Pareyson fu un interprete dell’esistenzialismo, ma, rispetto ad Abbagnano, sottolineò maggiormente gli aspetti cristiani, leggendoli, in particolare, attraverso Gabriel Marcel e Karl Jaspers.
Sul versante cattolico, gli allievi di Pareyson furono Gianni Vattimo e il suo quasi coetaneo Umberto Eco; sul versante laico, allievi di Abbagnano furono Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano. Chi ha un po’ di anni ed è dentro a queste vicende accademiche, ricorderà divertenti siparietti polemici tra i due «schieramenti», soprattutto quando Vattimo formulò le tesi del «pensiero debole», a cui Viano rispose per le rime con il pamphlet Va’ pensiero, parlando di flebile pensiero vattimiano.
Per chi è del mestiere, erano molto più che inoffensive schermaglie. Il «pensiero debole» è stato un punto d’arrivo della riflessione filosofica di Vattimo, per nulla banale (come taluni, appunto, hanno voluto insinuare), basata sulla profondità dei suoi studi su Nietzsche, Heidegger e Gadamer, di cui egli ha curato l’edizione italiana di un testo fondamentale dell’ermeneutica, Verità e metodo, corrente filosofica che avrà grande rilievo nella sua formazione. L’ermeneutica, così come è stata letta da Vattimo, sottolinea il ruolo che ha l’interpretazione in ogni settore dell’esperienza umana.
In base ai presupposti linguistici e storici, ogni interpretazione relativizza i valori, li inserisce in un contesto temporale, li considera puri messaggi linguistici oggetti della comunicazione.
In questa prospettiva, Vattimo ritiene di dare una risposta filosofica alle tesi di Nietzsche e di Heidegger che sostengono l’inconsistenza metafisica dei principi fondamentali – la verità, il bene e il male, il bello e il brutto - su cui la filosofia, fin dall’antichità, aveva riflettuto. Quello di Vattimo diventa un nichilismo «leggero», «debole», appunto, un «pensiero debole» che ritiene inutile impegnarsi nella definizione dei principi della metafisica, ma li relativizza storicizzandoli e inserendoli in un variabile processo di comunicazione.

Recentemente aveva proposto una concezione secolarizzata della fede cristiana, basata sulla carità, il sentimento necessario per fronteggiare la dissoluzione dei valori nella nostra contemporaneità e per restituire all’uomo un orizzonte di concordia sociale e, insieme, politica.

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