
La biografia di Curzio Malaparte (Malaparte: a Biography, NYRB) scritta da Maurizio Serra è composta per lo più da digressioni, un approccio perfetto per ricreare la figura di Kurt Erich Suckert, «mitomane, esibizionista e voltagabbana seriale», nato a Prato, città industriale a sud di Firenze, da un esperto tessile austriaco con uno stipendio come si deve. Trasformò Kurt in Curzio e si inventò un cognome invertendo il lato buono di Napoleone, Bonaparte, nel lato cattivo, Malaparte. Quando anche lui fu ben pagato come giornalista (Mussolini, giornalista egli stesso prima di entrare in politica, rese la professione ufficiale e ben remunerata, con stipendi eccezionalmente alti), visse da mondano nei circoli più snob della società italiana tra le due guerre, dove nuovi ricchi industriali come Agnelli della Fiat e Vittorio Cini (la cui isola privata, infarcita d'arte, si affaccia su San Marco a Venezia) si mescolavano con l'aristocrazia più antica, o almeno con quei principi, baroni e marchesi ancora solvibili... A Roma, gli aristocratici italiani si riunivano ancora al club della Caccia, che non ammetteva comuni mortali senza titolo, per quanto ricchi o famosi. A Roma, Malaparte incontrò tutti i personaggi influenti, incluso il genero di Mussolini, il salottiero ministro degli Esteri Ciano, ebbe una relazione con la trascurata moglie del giovane Agnelli. Intanto parlava con tutti di tutto, tranne che della sua esperienza militare.
Ciò che Malaparte non voleva pubblicizzare era la sua vita durante la Grande guerra: si arruolò volontario a 16 anni, nell'agosto 1914, nella neonata legione volontaria garibaldina che combatteva per la Francia.
Quando l'Italia entrò nel conflitto, nel 1915, Malaparte ancora minorenne lasciò la legione per arruolarsi negli Alpini, le truppe da montagna italiane, che combatterono sotto generali mediocri fino al crollo del fronte a Caporetto, nel novembre 1917, che costrinse britannici e francesi a inviare rinforzi che non potevano permettersi. In segno di gratitudine per l'arrivo tempestivo delle truppe francesi, l'anno precedente, nel 1918 l'unità di Malaparte fu inviata a sostenere il fronte francese, dove i suoi polmoni furono esposti ai gas tossici tedeschi, con effetti che durarono fino alla sua morte per cancro ai medesimi nel 1957. Fu su quel fronte, con la guerra ormai agli sgoccioli, che Malaparte dovette sparare al suo migliore amico mutilato, che lo implorava di porre fine alle sue sofferenze.
Pur vantandosi volentieri di molte altre cose, comprese le sue numerose relazioni, Malaparte era reticente riguardo al suo precoce e autentico eroismo militare, perché nell'Italia del dopoguerra tutti si proclamavano grandi eroi, e i generali che pretendevano cucina raffinata ogni giorno e restavano lontani dal fronte per godersela, sfilavano per Roma come piccoli Cesari, attribuendosi il merito della vittoria finale che non avevano conquistato, e incolpando la codardia dei soldati per il disastro di Caporetto. Malaparte pubblicò la sua versione dei fatti nel provocatorio primo libro Viva Caporetto, in cui elogiava i soldati semplici che resistevano al freddo alpino con uniformi inadeguate, sotto ufficiali subalterni diplomati delle scuole medie che facevano il loro dovere e morivano a frotte, mentre i politici continuavano a cenare ogni sera a Roma, con la guerra lontana. Il libro fu prontamente confiscato e distrutto, così come una nuova edizione con titolo diverso; fu pubblicato integralmente solo nel 1980.
Ma l'ascesa di Malaparte nel giornalismo - aveva aderito al partito fascista e gli editori amavano la sua prosa incisiva - e nella società mondana era inarrestabile. Fu nei saloni principeschi che Malaparte trovò materiale per i suoi articoli spesso tendenziosi, lievemente sovversivi ma mai veramente ribelli, che il regime fascista poteva tollerare in un eroe di guerra, e che lo mantenevano finanziariamente e sentimentalmente, mentre si faceva strada tra le mogli annoiate dell'alta società. Si fermò solo quando raggiunse il vertice con Virginia Bourbon del Monte, moglie di Edoardo Agnelli, figlio del cofondatore della Fiat Giovanni Agnelli.
Quando Mussolini tradì i suoi amici e la sua amante ebrea più influente, Margherita Sarfatti, il 17 novembre 1938, pubblicando le leggi razziali contro gli ebrei per rafforzare l'alleanza con Hitler che si sarebbe conclusa con il suo cadavere appeso a testa in giù in Piazzale Loreto a Milano il 29 aprile 1945, Malaparte non era più il fascista convinto del 1922. La prima sbavatura politica di Malaparte fu la pubblicazione a Parigi, nel 1931, del libro Technique du coup d'état, in cui descriveva il fallito putsch di Monaco del 1923 di Hitler, non senza notare il suo carattere effeminato mentre sfilava in uniforme, e descriveva Mussolini come un opportunista nella sua riuscita marcia su Roma del 1922, a cui Malaparte aveva partecipato. La giustificazione di Malaparte, quando fu accusato di slealtà, fu quella di aver descritto la meccanica della presa del potere come antidoto per proteggere Mussolini da eventuali tentativi contro di lui, ma la sua irriverenza era innegabile e doveva essere punita. Fu immediatamente licenziato da La Stampa, il giornale torinese di Agnelli, che lo pagava quanto diversi stipendi contemporanei del New York Times, e messo sotto sorveglianza costante. Quest'ultima non lo disturbava, poiché i suoi amici ricchi facevano a gara per ospitarlo nei loro castelli, ville e palazzi. Il 17 ottobre 1933 la sorveglianza diede i suoi frutti: fu arrestato e imprigionato nel lugubre carcere romano di Regina Coeli, e espulso dal Partito Fascista. Dopo un mese in carcere, fu esiliato nella piccola isola di Lipari, con solo pescatori come compagnia, per un periodo di cinque anni.
Ma Malaparte non era privo di amici influenti, primo fra tutti Galeazzo Ciano, genero di Mussolini e ministro degli Esteri, così meno di sei mesi dopo, nell'estate del 1934, il suo luogo di esilio fu elevato alla elegante Ischia, dove visse nel lusso con amici e amanti che arrivavano in traghetto da Napoli, e poi nella mondana Forte dei Marmi. Il giornale più ricco d'Italia allora come oggi, il Corriere della Sera di Milano, trovò persino il modo di pubblicare i suoi articoli e mantenerlo finanziariamente scrivendo sotto pseudonimo. Alla fine, i cinque anni furono ridotti a due e mezzo una sequenza che Malaparte riassunse senza vergogna come «cinque anni all'inferno» una volta caduto il Fascismo, quando dovette reinventarsi come antifascista e vittima del fascismo. Ogni frivolezza finì quando fu pienamente riabilitato e nominato corrispondente di guerra del Corriere della Sera in Romania, Croazia fascista, Ucraina occupata dai tedeschi e Finlandia, vivendo così in prima persona l'orrore assoluto della guerra razziale e genocida - un orrore molto più ampio, profondo e disperato rispetto all'artiglieria assassina e ai gas tossici che aveva vissuto nella Prima Guerra Mondiale. Molti dei suoi articoli non furono pubblicati dal giornale, ma raccolti nel libro del 1943 Il Volga nasce in Europa, poi nel 1944 Kaputt, e infine nel 1949 La pelle.
Gli scritti di guerra di Malaparte includono sia veri documenti storici che invenzioni. Tra i primi c'è la sua intervista con Hans Frank, Governatore Generale della Polonia appena conquistata da Hitler, dove gli ebrei venivano sterminati e i polacchi degradati a classe servile (non senza l'aiuto di innumerevoli collaboratori polacchi). L'invenzione, pensata per evitare un catalogo dettagliato degli orrori, fu la sua intervista con Ante Pavelic, capo dello stato fantoccio croato al servizio dei nazisti: «Mentre parlava, fissavo un cesto di vimini sulla sua scrivania. Il coperchio era sollevato e il cesto sembrava pieno di cozze, o ostriche sgusciate, come talvolta si vedono nelle vetrine di Fortnum and Mason a Piccadilly, Londra. Sono ostriche dalmate? chiesi a Pavelic. Sollevò il coperchio del cesto e rivelò le cozze, quella massa viscida e gelatinosa, e disse, sorridendo con quel suo sorriso stanco e bonario: È un regalo dei miei fedeli Ustasha. Quaranta libbre di occhi umani». È per me motivo di rammarico personale che Curzio Malaparte, che smascherava immediatamente le menzogne di ogni altro regime dittatoriale, si sia lasciato abbindolare completamente dalla Cina di Mao quando la visitò nel 1956, al punto da donare la sua casa di Capri - l'unico suo bene - all'Associazione degli Scrittori Cinesi, un gruppo sfortunato destinato a essere epurato, imprigionato, affamato o persino mangiato vivo.
Maurizio Serra ha vinto il Prix Goncourt il massimo riconoscimento letterario della sfera francofona per l'edizione francese della sua biografia, e la sua preferenza per una serie infinita di digressioni sarebbe frustrante in una biografia di Napoleone o Mussolini, ma è l'unico approccio possibile con Malaparte, che alla fine inserì persino la Cina di Mao nel suo
racconto, ma la cui storia è essenzialmente italiana, e il suo unico vero viaggio fu da Prato, città industriale e laboriosa, alla frivolezza indelebile di Roma, dove l'importante diventa banale e il banale diventa importante.