Letteratura

"Per ultimo il cuore": perché la distopia di Margaret Atwood è già tra di noi

A dieci anni dalla sua prima edizione americana, esce in ristampa Per ultimo il cuore di Margaret Atwood. La scrittrice ripropone la sua distopia postamericana sempre più vicina al nostro inquietante presente, traviato dalla dicotomia libertà-sicurezza

"Per ultimo il cuore": perché la distopia di Margaret Atwood è già tra di noi

Per ultimo il cuore di Margaret Atwood (1 Ed. Italiana: Ponte alle Grazie, 2016), in occasione della sua ristampa, porta sulla cresta dell’onda, ancora una volta, la letteratura distopica. Ma lo fa con strumenti così comuni a noi contemporanei che il gigantesco brutto sogno che si dipana tra le pagine appare quantomai verosimile. Se George Orwell in 1984 aveva dovuto immaginare molti dei suoi contenuti, oggi la distopia appare, per certi versi già dato di fatto. Una realtà dove tutti gli elementi immaginati dalla scrittrice sono già nostri compagni di sventure su questa Terra nonché materia da cui scaturiscono grandi interrogativi. Siamo davvero liberi? Siamo davvero al sicuro? E nella dicotomia libertà-sicurezza, il dilemma con il quale il libro termina, i due concetti sono necessariamente uno alternativo all’altro?

La distopia della contemporaneità

Per ultimo il cuore racchiude in sé, allo stesso tempo, tutti i grandi classici della letteratura distopica e le grandi sciagure dei tempi moderni. Qualcuno potrebbe vederci Nomadland, per via dei protagonisti Stan e Charmaine che, avendo perso il lavoro e la casa, sono costretti a vivere in auto come moderni nomadi. Sullo sfondo, gli Stati Uniti della recessione, dello squallore, dell’homo homini lupus: una società sempre più violenta, scollata, arrabbiata e povera, che sta facendo a pezzi il sogno americano.

Qualcun altro ci vedrà Hunger Games, ambientato anch’esso in un America post-apocalittica, anch’essa manipolata da un fosco Supremo, nella quale la tecnologia serve a manipolare tutto perfino la natura e aizza gli uni contro gli altri fino alla morte. La ribellione non è tollerata, l’arena violenta è l’unico modo di concepire il confronto: esattamente come nelle dinamiche geopolitiche attuali, animate dalla guerra di tutti contro tutti, dal ripiegamento sui propri interessi e le proprie ragioni in un mondo che sembra dimentico del metodo multilateralista e del dialogo.

Ma c’è anche una quota di The Truman Show, con la ricostruzione di una vita perfetta per persone perfette: Consilience e Positron, le città gemelle della distopia di Atwood, ricordano tanto la Seahaven di Truman Burbank, così come Ed il demiurgo della trama di Atwood rimanda a Christof, il cinico regista dello show. Tutte versioni da brividi della Suburbia dei nostri giorni, con le sue villette a schiera tutte uguali, con i prati ben curati fuori, le stradine traboccanti di pubblica virtù e le quattro mura di casa avvelenate dai vizi privati.

Una nevrosi collettiva innaffiata dal fentanyl, l’arma più potente per azzerarsi la mente in tempi bui come questi, che falcia gli americani come un tristo mietitore. Nel suo iperuranio degli incubi, Atwood prende anche un goccio de La regola del sospetto, quasi a narrare un mondo dove nessuno è ciò che dice di essere: ma non nel senso poetico di pirandelliana memoria, ma intesa come circo di doppie identità, menzogne, doppie vite scandite da profili falsi, inganni, abusi, anaffettività, narcisismo, solipsismo.

La tentazione sempiterna dell'ingegneria sociale

È ovvio che di fronte ad una vita così piena di incertezze, in America come altrove, il sogno di un regno pacifico come Positron e Consilience, al contempo Eden e galera, alletta chiunque: i potenti come i cittadini. Non si spiegherebbe il fascino che esercitano ancora oggi ingegneria sociale e dittature: sui dittatori, anacronisticamente convinti di poter ingannare milioni di vite all’infinito; nei cittadini, che in preda al più alto livello di sindrome di Stoccolma sono pronti a barattare la libertà con la serenità, la disciplina, l’omologazione e, purtroppo, la minestra in tavola. Sa di Corea del Nord e di Miglio Verde questa distopia, ove gli indesiderabili, quelli che non si piegano diventano dispensabili e, dunque, meritevoli di quella fiala endovena che arresta corpo, cervello e “per ultimo il cuore”.

La tentazione dello stordimento, dell’isola felice dove non si deve pensare o-peggio ancora-ci viene detto cosa pensare è già in moto del resto: uno stordimento che può chiamarsi lavoro (“Un lavoro come un altro, una droga/ per illuderci e credere di essere uomini”, cantano i Baustelle), può essere chimico o alcolico, può chiamarsi shopping compulsivo su Amazon, può essere Netflix o Tik Tok. La volontà di pensare poco e di stordirsi è già qui. Come la tentazione di delegare a qualcuno il pensiero: l’intelligenza artificiale sta alla distopia, infatti, come la scoperta dell’atomo sta a Hiroshima. L’appalto esterno, alla macchina, del cervello, della ricerca, delle risposte è già qui come nelle teste parlanti di Positron.

La scienza, il peccato, i robot

L’aberrazione umana, frammista agli scienziati “che hanno conosciuto il peccato”, diventa il grande interrogativo etico che oggi non precede più l’innovazione anzi, la insegue con un certo rammarico e inquietudine: il dilagare degli automatismi, l’utilità e l’abuso della chirurgia estetica, i diritti dei detenuti tra giustizia e umanità, l’eutanasia traballante tra diritto ad una morte dignitosa e suicidio a norma di legge per reietti ed emarginati. E poi il traffico di esseri umani e dei loro pezzi, montati e smontati come componenti di bambole, gli esperimenti per cancellare la memoria, la vendita del proprio sangue per poche lire sono tutte realtà che superano le più fosche fantasie.

Fino all’esperimento più estremo, che nella distopia di Positron è la grande svolta di salvezza per un’umanità perduta: non più umanizzare i robot bensì robotizzare gli umani, i loro pensieri, le loro sensazioni, i loro ricordi. Tutto ciò che rende l’essere umano ciò che è: capace di distruggere ma anche di divenire Schubert o Picasso. Del resto, cos’è il laser che i medici di Consilience utilizzano per deviare la mente se non una lobotomia o un elettroshock? Niente che l’umanità non abbia già inventato per inseguire un Paradiso perduto.

Perfino amore e sesso, nella disumana resilienza della distopia hanno assunto il carattere della mania o della fobia: tant’è che nella oscura Città sulla Collina di Atwood una delle industrie più redditizie è proprio quella dei robot del sesso: sempre più rassomiglianti agli umani, dei quali si perfeziona costantemente l’espressività, l’abbraccio, la sensualità per accompagnare le voglie di chi non sa o di chi non può cimentarsi con gli esseri umani. Come accade a milioni di persone nel mondo che scelgono bambole gonfiabili come compagne di vita o sono pronte a sposare il proprio tagliaerba per raccontarlo in qualche trasmissione trash.

Un barlume di speranza anche nella distopia

Tuttavia, anche nella distopia contemporanea, come nel racconto di Atwood, c’è sempre un ingranaggio che salta. Una crepa che smaschera il sistema. E questo per due ragioni di motivi: l’umanità, quella interiore, non è mai totalmente eliminabile. I due protagonisti del romanzo, lobotomizzati dalla promessa di prati ben arati e di un caminetto, iniziano a sentire il peso del loro essere umani, troppo umani: la loro coscienza viene fuori come un conato incontrollabile, li mette in crisi, li distrugge e li porta a rischiare la propria sicurezza per la propria libertà.

Nel nostro mondo, fuori dalle pagine dei libri, Stan e Charmain sono Goeffrey Hinton, il padrino pentito dell’intelligenza artificiale; sono Vito Alfieri Fontana, che da produttore di mine antiuomo è diventato sminatore; ma sono anche Rosa Parks quando ha deciso di sedersi al primo posto nel celebre bus; sono August Landmesser che si rifiutò di fare il saluto nazista restando a braccia conserte. Sono donne e uomini che puntellano il baratro contemporaneo e che fanno saltare il sistema. Perfino nel tetro mondo di Atwood alberga la speranza: i suoi protagonisti riescono ad uscire dal grigio mondo di replicanti da quale si sono fatti tentare attraverso un complotto surreale che fornisce loro l’occasione per interrogarsi su cosa significhi amare.

Anche a loro vengono proposte le pillole rossa e blu corrispondenti a sicurezza o libertà: una sfida alla quale ognuno di noi è sottoposto quotidianamente e che nessun chip potrà mai essere in grado di fare.

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