
Per Andrea Bajani, dopo essersi aggiudicato lo Strega Giovani un mese fa, sembrava già tutto previsto. E infatti ieri sera, alla cerimonia di premiazione della 79esima edizione del Premio a Villa Giulia, lo scrittore torinese si è bevuto anche lo Strega classico grazie al suo romanzo L’anniversario (Feltrinelli). Tutti per lui 194 voti su 646: a seguire, Elisabetta Rasy con Perduto è questo mare (Rizzoli, 133 voti), e a seguire Nadia Terranova con
Quello che so di te (Guanda, 117 voti), Paolo Nori con Chiudo la porta e urlo
(Mondadori, 103 voti) e Michele Ruol con Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia (TerraRossa, 99 voti).
Il romanzo è la lenta, inesorabile riemersione di una ferita familiare, dove difficile è distinguere tra vittime, carnefici e sopravvissuti. Una madre fantasma (inversamente proporzionale, a livello energetico, alla madre gigantessa cui ci ha abituati il Campiello 2024 di Il fuoco che ti porti dentro di Antonio Franchini), un padre violento, una sorella antagonista e un figlio narrante che conduce una indagine mnestica vischiosa e soffocante per razionalizzare la cecità emotiva selettiva cui ci piegano le mura di casa.
Come ha proceduto per scrivere questo romanzo?
«La prima stesura è stata come un fuoco, in venti giorni era scritto. Poi ci sono voluti tre anni per arrivare alla fine. Il punto di partenza è stata una lezione, in università, quando mi sono reso conto che i miei studenti raccontavano storie tremende delle proprie famiglie, ma nessuno pensava di mettersi a raccontarle da fuori. Nessuno concepiva un personaggio in grado di sottrarsi alla famiglia.
È nato da qui, da questo figlio che ha creduto a tal punto alla versione del padre che voleva una moglie invisibile da non aver ricordi della madre. Portarla in proscenio è stato il movimento che il figlio, a dieci anni dallo strappo, decide di fare».
Che cosa resta di tutto il dolore che i nostri genitori ci hanno fatto soffrire da giovani?
«Le famiglie sono organismi misteriosi. Anche perché sono sistemi in cui ciascuno prova a essere felice, ma non necessariamente le felicità degli uni sono armonizzabili con quelle degli altri. Il dolore è un grumo che va spacchettato e conosciuto ».
Si può perdonare un padre, una madre? E come?
«Non credo che il perdono sia la questione. Anche perché il perdono presuppone una condizione di superiorità. Il romanzo è una macchina di complessità ed empatia. Questo può fare. Scendere nell’abisso della condizione umana e nelle contraddizioni di persone che provano a salvarsi per come possono, anche a costo di danni collaterali».
Ha affermato spesso che se questo libro fosse autobiografico, i lettori non si potrebbero identificare: ma alla fine, che differenza fa? «La grande differenza è tra Chi l’ha visto e Anna Karenina .
In Chi l’ha visto chi guarda se ne sta al sicuro, e morbosamente guarda la vita altrui. In Anna Karenina - nel romanzo - nessuno può sentirsi escluso, o al sicuro ».
Immaginiamo che la coppia di genitori che lei descrive legga il romanzo. Che cosa susciterà nel padre? E nella madre? «Il meccanismo della lettura - soprattutto quando si tratta di letteratura - funziona sempre da detonatore di questioni esistenziali. I romanzi sono sempre specchi per ogni lettore e ogni lettrice».
Nel libro ipotizza una specie di mappa dell’abbandono familiare da parte dei figli: da che cosa si devono salvare
«C’è un’intera moltitudine di persone che si è dispersa per il globo per cercare la giusta distanza dalle proprie famiglie d’origine. Dalla generazione Erasmus in avanti, è stata anche aiutata dalla nuova facilità negli spostamenti. Sono riforme specifiche, ciascuna a modo proprio, di un’istituzione che in qualche caso funziona da vicino, in altri ha bisogno di aggiustamenti. E quando non sono possibili, quando non fanno sentire al sicuro, di rettifiche. Sentirsi al sicuro è un diritto, dentro qualsiasi legame, familiare e non».
Che cosa significa un premio letterario oggi per uno scrittore? Che cosa gli si riconosce esattamente?
«Mi sono reso conto, ieri sera, che sono 23 anni che pubblico libri. Mi sembra un tempo sbalorditivo. La cosa che mi colpisce di più è il pensiero che a ogni libro che ho scritto mi sono sentito dentro una profonda incertezza. Non sapevo, pur avendone scritti altri, che cosa fosse un romanzo.
Ecco: la condizione dell’essere principianti, di accertare l’incertezza, l’ignoto, come condizione essenziale per l’arte e per la scrittura. Vincere questo premio dopo 23 anni di tentativi di scrittura mi ha dato questo senso: sono un principiante ancora una volta. Anche dopo il Premio Strega lo sarò ».