
Milano, 8 Settembre 1943. Un “armistizio” che in realtà fu una dichiarazione di guerra interna, impropriamente detta “civile”. E’ da qui che si dipana “L’alba della nostra libertà” il romanzo “ispirato a storie vere sulle donne che hanno fatto la Resistenza”: 258 pagine dal ritmo cronachistico (a tratti aspro, a volte dolce) di Barbara Cagni edito da Fazi. Il volume è stato presentato a Milano nella sede de “I Dobloni Edizioni”, realtà dinamica curata da Mary e Massimo nel quartiere NoLo.
Il libro di Cagni abbina il passo documentaristico in stile Arrigo Petacco a una leggerezza di racconto modello Simone de Beauvoire. C’è nelle vicende narrate un punto di vista femminile, e a volte femminista (ma nel senso meno ideologizzato del termine. Quella infatti a cui si assiste è una rivolta in rosa, ma che contiene tutti i colori dell’arcobaleno. “L’alba della nostra libertà”, si diceva; ma “nostra” di chi? Delle donne in primis. Di ogni età e condizione sociale: «Ognuna di loro aveva cercato uno spazio per pensare e ragionare con la propria testa. Ma era una gran fatica, una battaglia senza moschetto. Come uniche armi avevano, chi più chi meno, il silenzio, la caparbietà e un animo assetato di libertà».
In una Milano dove il peggio della guerra è forse passato, ma il meglio della pace è ancora lungi da venire. E in periodo di transizione le milanesi si danno da fare, eccome. Perfino nella casa di tolleranza gestita da Marilu’ le ragazze escono dalle stanze e si raccolgono in davanti alla radio: «La guerra è finita!». «In realtà, sta per avere inizio la fase più dura del conflitto - scrive l’autrice - in cui sarà difficile capire di chi potersi fidare davvero». Dopo anni passati come prostituta e poche speranze di affrancarsi dalla propria condizione, per Marilù l’obiettivo è diventato mettere in salvo la figlia Cecilia, che riuscirà a far ospitare in campagna grazie alle conoscenze di Venera, una studentessa di Storia dell’arte, che vive da sola e che pian piano sta acquistando consapevolezza di sé grazie a una storia d’amore tanto travolgente quanto proibita. Mentre Marilù resiste, cercando di tenere al sicuro le ragazze che lavorano per lei e aiutando come può i partigiani del quartiere, Venera decide di entrare nella Resistenza per opporsi alla situazio ne generale insieme alle donne lasciate in città, stanche di non avere mai voce in capitolo.
“In una Milano stremata dalla fame e dai bombardamenti - si legge nella prefazione - sono proprio le donne, rimaste sole, ad allearsi e farsi forza tra di
loro. Dalle lavoratrici nelle fabbriche alle studentesse, dai ceti popolari alla borghesia, hanno tutte un obiettivo comune: tornare, finalmente, libere”. Obiettivo raggiunto. E questa volta si’, con buona pace di tutti.