Leggi il settimanale

"La mia Africa è un orrore". Firmato: Georges Simenon

Il romanziere belga nel 1932 andò come giornalista nel Continente nero. E lì affinò il suo anticolonialismo

 "La mia Africa è un orrore". Firmato: Georges Simenon

«L'Africa vi parla» diceva una campagna pubblicitaria del tempo. C'erano appena state l'Esposizione coloniale di Vincennes, la Dakar-Gibuti, e la Francia guardava ai suoi territori d'oltremare con orgoglio e paternalistica considerazione. Georges Simenon agli inizi degli anni '30 andò a sentire cosa dicesse il Continente nero. Tornò con un reportage in più puntate per il settimanale Voilà, ora raccolto in un libro, L'Africa che dicono misteriosa (Adelphi, pagg. 220, euro 16; trad. Francesca Scala e Maria Laura Vanorio, con una nota di Ena Marchi) e materiale sufficiente per qualche romanzo: Colpo di luna, per citare solo il più bello. Tornò anche con settecentocinquanta foto, di cui una scelta di 50 correda il volumetto adelphiano. Il succo del colloquio lo riassunse così: «Credete che l'Africa vi parli, credete che vi chiami, che negri e negre vi tendano le braccia e la natura dei suoi frutti? L'Africa? Credetemi, l'Africa vi dice merda. E fa bene». Le immagini di quel viaggio dal Sudan al Congo belga discendo i 1700 chilometri del fiume sino a Kinshasa e poi, in battello, dal Gabon al Senegal, illustrano il concetto: una luce grigia e gelatinosa, una natura che inghiotte tutto, un'umanità di corpi lucidi di sudore, un'incomunicabilità di colori fra il bianco che è venuto a dominare ed è sconfitto ancora prima di iniziare, e il nero che i lascia vivere come se ogni giorno fosse buone per morire. Nel 1932 «un negro per ogni traversina, un bianco per chilometro» è il costo del progresso. Questo era quanto l'Africa al momento aveva da dire. Un domani, chissà... Il governo francese pensò bene che la conversazione di Simenon finisse lì.

Fra il 1932 e il 1935 Simenon fa il suo apprendistato per il mondo. Vuole conoscerlo, vuole vedere «l'uomo nudo così com'è, la sua differenza rispetto al pubblico». L'Africa che si vuole misteriosa si apre con un reportage, «Carichi umani», che non fa parte degli articoli scritti per Voilà, ma è per molti versi l'antipasto, via mare, il Mediterraneo e poi il Mar Nero, di quelli che saranno i suoi viaggi nell'Europa orientale e nell'Urss, dove entrerà passando dal Caucaso. Prima su quei carghi carichi

di emigranti per motivi politici, un cambio di regime, un problema di nazionalità, una pulizia etnica, per fame, la perdita del posto di lavoro, della casa, della terra, una carestia, in seguito in treno, in macchina a piedi nelle città e nelle campagne dell'Est Europa Simenon respira un odore fatto di paure e di menzogne, di esibizioni di forza e di miserie nascoste, di ottusità burocratiche e di disprezzo nei confronti della persona umana, di puro e semplice fanatismo dottrinario e di pure e semplici tecniche di sopravvivenza. «Tutti mentono. Tutti nascondono qualcosa. Tutti spiano». Se nell'Europa orientale è andato a vedere «i popoli che hanno fame», in Urss Simenon si trova di fronte un popolo che fa della propria fame un'arma politica, la sublima in ideologia, la affina in strumento di riscossa nazionale. «Siamo il Paese più potente del mondo. Deteniamo l'ottanta per cento della produzione mondiale di platino. La nostra flotta è la quarta, abbiamo petrolio, cotone. Ancora qualche anno e saremo pronti...». La Romania, la Bulgaria, la Polonia gli hanno rivelato una polveriera di rancori, di attese, di povertà e a suo modo anche l'Europa dell'Est «vi dice merda», ma con invidia. La Russia lo fa con odio e non si limiterà alle parole.

Il viaggio in Urss avviene prima che André Gide scriva il suo Retour de l'Urss e Céline il suo Mea culpa. Quello in Africa, dopo che sempre Gide ha scritto il suo Voyage au Congo e sempre Céline il suo Voyage au bout de la nuit. È anche probabile, come osserva Ena Marchi nella sua come sempre puntuale postfazione, che Simenon abbia letto il Conrad di Cuore di tenebra, uscito in Francia anni prima, nel 1925, per l'esattezza, e del resto il solito Gide è stato per lo scrittore anglo-polacco il passaporto per il suo successo al di qua della Manica, cosi come sarà, per lo stesso Simenon, il garante del suo essere un romanziere di talento e non uno scrittore da edicola ferroviaria. Se a questi nomi si aggiunge quello di Albert Londres, il più celebre dei «grand reporter» dell'epoca, si capisce come Simenon si trovi un campo già arato e per di più da scrittori con i quali ha più elementi in comune, per visione del mondo e della vita, di quanto non si sia soliti ammettere.

Par marcare le differenze, la prima cosa che fa è scegliersi un itinerario poco battuto. Invece di imbarcarsi a Bordeaux e dopo tre settimane di mare percorrere l'Africa centrale da ovest verso est, sceglie come porto di partenza Marsiglia, sbarca al Cairo, arriva ad Assuan e da lì sorvolato il Sudan percorre quell'itinerario di cui abbiamo parlato precedentemente.

Come era accaduto per

l'Urss, questa sua scelta rappresenta il suo «desiderio di vedere il rovescio delle cose», cosa c'è veramente dietro, cosa si nasconde al di là dello specchio, si tratti di quello ideologico comunista, di quello turistico-coloniale africano...

Scritto con il piglio disinvolto e insieme pamphlettista di chi è lì sì per raccontare, ma non per questo rinuncia a dire la sua, L'Africa che dicono misteriosa è in realtà un catalogo di orrori, «il continente mostruoso» che inghiotte tutto ciò che si trova di fronte, uomini e bestie, clima e vegetazione. Se i negri vi «sopravvivono», meglio, ci mettono «così poco impegno per non morire», è perché non fanno nulla per modificare l'assurdità che li circonda, ci sono abituati e «sanno veder morire e sanno morire costruendo una ferrovia a scartamento ridotto oppure di lebbra, della malattia del sonno tra le fauci di un coccodrillo o di un leopardo». E i bianchi? «I bianchi, invece, si dibattono, lottano disperatamente per la propria vita e tutto quello che ci guadagnano è che a volte sono colti da un eccesso di follia. Si chiama colpo di bambù, e chi ne è vittima viene rispedito al paesino, dove finisce i suoi giorni».

Come dirà anni dopo, Simenon non si scopre anticolonialista dopo aver visto l'Africa. Lo era sempre stato, per una forma di indignazione contro i soprusi e il disprezzo verso l'essere umano, qualsiasi fosse il colore della sua pelle. Ma è anche vero, come l'Africa che dicono misteriosa mette abbastanza bene in chiaro, che per Simenon i negri rimangono sconosciuti, un qualcosa di assurdamente naturale o di naturalmente assurdo, visto più come il riflesso si un'altra assurdità, quella bianca e coloniale dove il francese provinciale e in cerca della «grande avventura» arriva per portare la civiltà e rimane inghiottito dalla mostruosità dell'universo che gli si spalanca id fronte. La promiscuità, l'alcol, le malattie, le frustrazioni l'uso immotivato della violenza fanno il resto.

Per qualcuno, il «mal d'Africa» sarà come un'«intossicazione progressiva», che poi è un altro modo per finire egualmente inghiottiti, ovvero annientati. Altri, molti altri, torneranno, come il protagonista di Colpo di luna, dicendo in preda al delirio, sulla nave che li riporta in patria, che «l'Africa non esiste».

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica