Napoleone forever. Storia di un vero mito

Escono due saggi sull'imperatore. Ci affascina perché non voleva il potere ma la grandezza

Napoleone forever. Storia di un vero mito

Che cosa vuol dire provare ancora oggi una irriducibile passione per la figura di Napoleone? Due libri rispondono a questa domanda, Napoleone. L'uomo del destino, di Jean-Marie Rouart, (Giunti, pagg.303, euro 14,90) e Essere Napoleone. Letteratura,cinema e metaverso, di Carlo Miccichè (Edizioni Ares,pagg. 306, 20). Diversissimi tra loro, i due autori, Accademico di Francia il primo, dirigente televisivo il secondo, sanno entrambi farsi leggere, pagina dopo pagina, con veri momenti di felicità, e condividono un assioma: Napoleone è una figura eminentemente letteraria, romanzesca, poetica persino. Ha alimentato fantasie di grandi scrittori prima (Tolstoj, Hugo, Stendhal, Balzac, Foscolo, Manzoni, Calvino...) e poi di innumerevoli registi cinematografici, tra cui alcuni grandissimi, da Abel Gance a Stanley Kubrick, autore di una sceneggiatura per un film su Napoleone mai realizzato, e continua a farlo, se pensiamo all'uscita in questi giorni del kolossal di Ridley Scott.

La parabola umana di Napoleone ha qualcosa di fatale, intessuta com'è di trionfi e di rovesci, di gloria e di disperazione, di visionarietà e di disincanto. Il suo eroismo è quello della sconfitta, il più nobile. E le sue passioni non sono per la ricchezza e il potere in sé, ma manifestano qualcosa di cui oggi si è perso la nozione, l'insofferenza verso la mediocrità, e la fascinazione per tutto ciò che innalza, per quello che Jean-Marie Rouart chiama «l'amore sconsolato per la grandezza». Il giovane Bonaparte è figlio di Letizia -l'uomo forte della famiglia - , della Corsica e dei Lumi. È un formidabile lettore, di Voltaire, Rousseau (il suo preferito), Corneille, Racine, Plutarco, Tito Livio, Cesare, Cicerone. Ma saranno la passione giovanile fervidissima e ancora priva di un oggetto (farà lo scrittore? combatterà per la sua isola?) e il sangue che per sua stessa ammissione gli scorre nelle vene potente come il Rodano a determinarne il destino. Respinto da Pasquale Paoli, il ribelle sostenitore dell'indipendenza della Corsica, il giovane Bonaparte, nato per sua buna sorte proprio l'anno dopo che la Corsica è passata dalla repubblica di Genova alla Francia, sposta lì, nel grande tumulto della Rivoluzione, nell'unico Paese che ha la letteratura come momento costitutivo, il suo raggio d'azione. È sostenitore di Robespierre, scrive persino un pamphlet in suo favore. Letterato ma cultore della matematica e della scienza, diventa un genio dell'artiglieria, e sconfigge gli Inglesi che assediano Tolone.

Scala i gradi militari con la rapidità possibile soltanto durante le rivoluzioni, giovanissimo è già generale. Poi viene la campagna d'Italia, le vittorie fulminee, gli entusiasmi per un portatore di libertà, quando comincia a sentirsi non più soltanto un generale, ma un uomo chiamato a influire sulla sorte dei popoli. Si vede per la prima volta nella storia. Intanto sposa Joséphine de Beauharneis, creola mondana, sensuale e infedele, e lui, l'eroico e freddo uomo d'armi, piange per lei, come Achille per Briseide. Conquisterà il mondo, ma non avrà mai la certezza dell'amore dell' unica donna per cui ha nutrito una vera passione. Anche se per qualcuno l'unica donna della sua vita è stata Madame Mère, Letizia, sotto la cui ala è cresciuto. La successiva campagna d'Egitto è condotta e vissuta nella sfera del sogno. Napoleone sconfigge i mamelucchi, porta in terra d'Islam la scienza e i Lumi, progetta il passaggio in India, poi fugge avventurosamente in un Mediterraneo su cui signoreggiano i nemici inglesi. Diventa membro dell'Institut de France, e proprio in quanto tale, fedele alle istanze di libertà della Rivoluzione e dei Lumi, non usa le armi per prendere il potere. E mostrerà un volto da pacificatore, con gli aristocratici emigrati, con i cattolici, lasciando che le campane delle chiese risuonino di nuovo per le città della Francia. Non è ateo, non gli piacciono la incredulità e le certezze materialiste. Ma a ogni trionfo succede il disincanto, la sfiducia, nella famiglia, in chi gli sta intorno. Scampa quasi miracolosamente ad attentati e congiure.

Si proclama Imperatore con una cerimonia dal fasto teatrale e tronfio, lui che nella vita ha abitudini spartane, e il cui piatto preferito rimangono le patate con le cipolle divise con i soldati tra le tende degli accampamenti. Il suo potere sconvolge gli equilibri della vecchia Europa: e dunque è legittimato dalla guerra. Ad Austerlitz sconfigge Alessandro I di Russia e Francesco II d'Austria. Padrone dell'Europa, attua il blocco continentale per strozzare l'Inghilterra. Ottiene in sposa Maria Luisa d'Austria. Confessa a Goethe di aver letto sette volte il Werther, ma gli contesta il finale del romanzo, e dibatte su Tacito, che non ama. «Impossibile? è una parola che non conosco» dice ai suoi uomini. È il generale dell'esercito dei sogni. Muove guerra alla Russia, e da lì comincia la parabola discendente della sua avventura, sino all'Elba, dove vive come un Prometeo incatenato, e alla battaglia di Waterloo, una sconfitta definitiva che Victor Hugo, magnificando il grido di «merde» del generale Cambronne impegnato nell'estrema vana resistenza agli Inglesi, trasforma in qualcosa di glorioso, di infinito. Confinato a Sant'Elena, alla mercé di un carceriere volgare come Hudson Lowe, riesce ancora a colpire la fantasia di una ragazzina, Betsy Balcombe, autrice in seguito di Il mio amico Napoleone. Memorie di una ragazza inglese a Sant'Elena. Pare che amasse giocare e scherzare con lei. Lui che aveva sconvolto il mondo con i suoi eserciti e le sue visioni.

Quasi un secolo e mezzo dopo, il generale De Gaulle, sconfitto e ormai fuori dalla scena politica, parla di Napoleone con Malraux, il che gli consente di toccare i suoi argomenti preferiti: l'esercito, la Francia, la grandezza. Oggi nessuno parla più di grandezza in una Europa immeschinita, rassegnata alla propria fine. L'unica occasione è ancora celebrare Napoleone.

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