Letteratura

Nel 1959 Philip K. Dick ha prefigurato la borghesia di oggi malata di consumismo

Un Philip K. Dick inusuale nella collana Oscar Mondadori

Nel 1959 Philip K. Dick ha prefigurato la borghesia di oggi malata di consumismo

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Nel 1959 Philip K. Dick ha prefigurato la borghesia di oggi malata di consumismo

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Un Philip K. Dick inusuale nella collana Oscar Mondadori. È Confessioni di un artista di merda (pagg. 300, euro 13,50, traduzione di Maurizio Nati), romanzo non di fantascienza dell'autore di capolavori di quel genere che hanno ispirato opere per il grande schermo come Blade Runner, The Truman Show, Minory Report. Il libro dimostra come Dick abbia anticipato il realismo sporco di scrittori come Richard Yates e Raymond Carver.

Dick lo definiva uno dei suoi undici «romanzi sperimentali non di genere», lo scrisse nel 1959 ma fu pubblicato soltanto nel 1975. Gli studiosi hanno sempre etichettato Confessioni di un artista di merda come una mera autobiografia trasformata in romanzo. Invece qui c'è tutto Dick: la sua scommessa con i lettori lontani dalla science fiction e il tentativo di far comprendere che lui poteva essere al pari di colleghi blasonati come Pynchon o Barth o Coover. La sua è una rappresentazione allucinata e lucidissima dei feroci rapporti familiari nell'America del Dopoguerra, non solo il ritratto commovente di un individuo «inadatto, smarrito davanti alla Storia e alla vita». «La mia opera di scrittore, in toto, rappresenta il tentativo di prendere la mia vita, e tutto quanto ho visto e fatto, e riplasmarla in modo da conferirle un senso» scrive. E aggiunge: «Non sono certo della mia riuscita. In primo luogo, non posso falsificare quello che ho visto. Vedo disordine e sofferenza, e non posso non scriverne; ma ho visto anche coraggio e ironia, e quindi ci metto anche questo». A differenza degli scrittori a lui contemporanei che vedono un'America omologata dai consumi, Dick vede un altro orizzonte: si domanda a cosa porterà la soddisfazione dei beni di consumo alla middle class. E nel 1959 intuisce che la soddisfazione apparente ed effimera dei beni di lusso non porterà altra ricchezza ai ceti medi i quali, strozzati da rate e cambiali, non potranno mai salire nella scala sociale, ma produrrà la noia che unita alla frustrazione genererà la paranoia. E con grande anticipo ci racconta come i ceti meno abbienti sono disposti a credere che la Terra è piatta o cava, che la luce del sole ha un peso o che gli ufo stanno arrivando. Ne trova anche la vera causa: tutto parte dall'insicurezza economica. Nel periodo in cui scrive Confessioni di un artista di merda, Dick è già al terzo matrimonio e ha parecchio da raccontare sullo stato di precarietà economica. Come scrive, «aveva difficoltà anche a pagare le multe sui libri presi in prestito dalle biblioteche».

Il protagonista crede di essere folle perché vede gli altri vivere felici in case per loro idilliache nella campagna della California settentrionale: hanno figli, cavalli e cani da combattimento. La loro casa è una meraviglia tecnologica con tutti i più recenti dispositivi per semplificare le faccende domestiche, giardini, porticati, ma Dick decostruisce la loro esistenza da favola e ritrae la loro alienazione con una chiarezza spaventosa: «tagliano i loro prati, tradiscono la moglie e intanto aspettano gli ufo». Il protagonista è convinto che il mondo finirà, ma quando si rende conto di essersi sbagliato si adatta e diventa la metafora dell'uomo contemporaneo. A eccezione di alcuni, come lo scrittore, che si domanda «se saremmo capaci di fare altrettanto perché non abbiamo forse visto tutti gli esseri umani normali, quelli sani, educati ed equilibrati, distruggersi da soli nei modi più terribili? Da un punto di vista realistico noi siamo dannati e condannati, ma da quello morale, o spirituale se preferite, ci autoassolviamo». Analisi perfetta.

In Italia Dick è stato proposto come scrittore complesso e i critici anche per questo romanzo hanno parlato di inconscio filogenetico, di entropia, di richiami agli archetipi dell'inconscio collettivo di Jung. L'hanno riconosciuto tra gli scrittori più geniali del '900, ma mistificando il suo pensiero.

Le speculazioni filosofiche di Dick si possono trovare nell'Esegesi (900 pagine), le sue idee hanno anticipato l'intelligenza artificiale, il controllo sociale attraverso non «il fascismo del consumismo» ma il cittadino diventato consumatore. Confessioni di un artista di merda, a parte i rimandi filosofici (ad esempio Isidoro di Siviglia), è forse il primo romanzo americano postmoderno ad aver intuito come la classe media ci avrebbe condotto a un futuro che è il nostro presente: degli individui che credono di essere vivi solo perché si sono dimenticati che la vita non è una carta di credito. Siamo qui. Per adesso.

E non ci interessa la scadenza.

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