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"Le ombre" della Storia e del potere a cui l’Italia non sfugge mai

Alessandro Zaccuri mette in scena la complessità di un Paese con tragica ironia manzoniana

"Le ombre" della Storia e del potere a cui l’Italia non sfugge mai
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Alessandro Zaccuri è una delle menti più acute che conosca. Giornalista di successo, oggi direttore della Comunicazione in Università Cattolica, conosce bene le oscillazioni del potere, che potrebbe cavalcare con successo (se gli volessi male, gli consiglierei la carriera politica) se in lui non prevalessero sempre il pensiero, la volontà di conoscenza, e una fede capace di nutrirsi di una giusta dose di civile perplessità. Manzoniano per nascita e temperamento, condivide con l'autore del Cinque Maggio la persuasione che il buon intellettuale non si nutra di proclami. Capire il mondo è il dovere dell'intellettuale, un dovere spesso frustrante e votato al fallimento, ma necessario.

Zaccuri ha mostrato cautela anche nel dar voce al proprio talento letterario. Il mondo è difficile, e le grandi teorie, come diceva Saul Bellow nel 1964, non sono sufficienti a spiegare la terribile complessità della nostra vita di tutti i giorni. Perciò la complessità, il crepuscolo ingannevole, l'ambiguità si possono solo raccontare, mai spiegare. E il crepuscolo ingannevole è proprio il grande tema del suo nuovo romanzo, Le ombre (Marsilio), dove - così come nel precedente Lo Spregio - il racconto si misura con la storia e il potere in un sapiente equilibrio tra romanzo, satira e tragedia. Sapientemente evocati, vi fanno la loro apparizione tanto Euripide quanto i programmi tv, Manzoni quanto i b-movies. Ma la mano è sicura, non un istante di confusione. E questo, oltre al rifiuto di qualsiasi deriva intimista, rende il libro così leggibile che spiace staccarsene.

La trama si può riassumere solo fino a un certo punto, poiché il finale è a sorpresa, e fa parte del libro anche l'immaginazione anticipatrice del lettore. Il protagonista è il giovane rampante Salvo, figlio ultimogenito del boss don Ciccio, confinato in Lombardia e prossimo a morire. Don Ciccio ha - così sembra - designato proprio Salvo come proprio successore: un colpo di mano motivato dall'intelligenza del ragazzo, che ha studiato (senza esagerare), legge libri e ha una certa conoscenza del mondo tecnologico-digitale.

La scelta di papà ha un suo perché: tutto si rinnova, tutto cambia pelle, e così anche la criminalità. Ed è vero, è cronaca di tutti i giorni. Ma - eh sì, c'è un «ma»: ed è la sterminata antichità dell'Italia, con le sue pievi, le sue feste ancestrali, è l'inamovibile «forza del passato» (Pasolini), che è fascino ma anche orrore, e che rifiuta testardamente ogni novità. Un incidente costringe Salvo a una lunga convalescenza/prigionia in uno strano casolare dove a comandare è una specie di strega, Santabella, che lo cura con un magico unguento, la cui preparazione è segreto antico...

Il riassunto deve fermarsi qui. Ma chi mi sta leggendo avrà già intuito tante cose. A cominciare dall'unguento, che è in qualche modo il protagonista della storia. Un'antica forza, superstiziosa e insieme violenta, che nessuno può dissociare dalla parola «Italia».

La chiusura tragica e insieme ironico-satirica, quasi comica, sul modello euripideo, ci ricorda che la nostra è una storia strana, non confezionabile in un romanzo.

Manzoni realizza il suo capolavoro nel momento in cui la storia si rivela come una questione insolubile (come già nelle sue tragedie, Carmagnola e Adelchi); Zaccuri, manzoniano di larga osservanza, sospende con piglio da giallista la storia mettendo tutto a nudo.

E all'apparir del vero, il lettore capisce che se ne può ridere o anche piangere, perché in fondo è la stessa cosa.

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