Letteratura

Quando il terrore era uno strumento diplomatico

Con il libro "La diplomazia del terrore" la docente universitara Valentine Lomellini ricostruisce un passato in cui il terrorismo era strumento di pressione politica e in cui l'Italia giocava alla pari con le grandi potenze internazionali

Quando il terrore era uno strumento diplomatico

Oggi è difficile crederlo, o meglio, ricordarlo, ma l’Italia ha avuto un ruolo centrale nelle dinamiche internazionali, in particolare a cavallo degli anni Ottanta. Difficile ricordarlo per lo sfaldamento di una fiducia verso le istituzioni sempre più generalizzata e acuita dalle politiche degli ultimi decenni; difficile ricordarlo perché l’essere umano tende a rimuovere i grandi traumi, quand’anche essi nascondano tra le loro pieghe degli esempi che, invece, andrebbero valorizzati e trasmessi alle generazioni politiche future.

È in parte questo ciò che emerge dal libro La diplomazia del terrore (Editori Laterza), scritto da Valentine Lomellini, docente di Storia delle relazioni internazionali presso l’Università di Padova; un volume che –con una rapida panoramica che abbraccia poco più di un ventennio (1967 – 1989) – affronta il complesso tema del terrorismo internazionale di matrice arabo-palestinese e della risposta che l’Europa occidentale fu in grado di opporre, in primis l’Italia.

Sì, perché per quanto oggi quella sfiducia generalizzata porti a ridimensionare i meriti e a ingigantire i demeriti, l’Italia nella difficile gestione del terrorismo ha avuto un ruolo non di secondo piano. Stroncato il terrorismo di matrice politica, con lo smantellamento (al netto dei possibili compromessi raggiunti) di formazioni come Brigate rosse, Prima Linea, Nar, l’Italia ha rappresentato agli occhi dell’Europa un modello da seguire attentamente.

Questo – come emerge dal volume – per due ragioni sostanziali: la prima, appunto, per aver saputo districarsi non tanto (e non solo) nel fronteggiare la minaccia diretta, quanto per aver saputo sapientemente – grazie ad una classe politica con il pelo sullo stomaco – destreggiarsi nelle relazioni diplomatiche con i paesi cosiddetti amici che mal digerivano i nostri rapporti con l’Olp palestinese e, soprattutto, con la Libia di Gheddafi.

La seconda ragione è perché, nonostante l’accordo passato alla storia come “Lodo Moro” [accordo cui la professoressa Lomellini ha dedicato un altro volume, sempre edito da Laterza, ndr], il nostro Paese è stato oggetto di un’intensa attività terroristica, che vede il suo culmine nel 1985, definito dalla docente annus horribilis.

È in questo anno, infatti, che l’Italia, durante il governo Craxi (il primo a stampo socialista) si trova a dover affrontare quella che è passata alla storia come la “crisi di Sigonella” che tenne con il fiato sospeso i vertici della politica italiana e, ancora oggi, è percepita come uno degli ultimi – e pochi – scatti di orgoglio nazionale nei confronti di un alleato – gli Stati Uniti – che in controluce sembra un padrone.

Tutto comincia il 7 ottobre. La nave Achille Lauro, partita da Genova, viene dirottata da un commando palestinese. Nel corso dell’attentato viene ucciso il cittadino americano, di religione ebraica, Leon Klinghoffer. Attraccata la nave il 10 ottobre a Port Said, in Egitto, il commando fu imbarcato su un aereo: destinazione Roma.

A causa delle pressioni statunitensi, però, l’atterraggio avviene presso la base militare di Sigonella, in Sicilia. Qui, per il rifiuto dell’Italia di consegnare il palestinese Abu Abbas agli americani, scoppia uno degli incidenti diplomatici più iconici della storia, con un cordone di avieri e carabinieri a protezione dell’aereo circondati dagli uomini della Delta Force americana, a loro volta circondati da altri carabinieri, in uno stallo alla messicana che avrebbe potuto avere esiti devastanti.

Rientrata in tempi rapidi la crisi – soprattutto, come segnala la Lomellini – grazie all’intermediazione diplomatica di Giulio Andreotti, il 27 dicembre dello stesso anno, all’aeroporto di Fiumicino (e in contemporanea a quello di Vienna) viene sferrato un sanguinoso attacco che lascia a terra 13 vittime e 65 feriti. È questo, secondo la professoressa Lomellini, un attentato che segna un crocevia nel terrorismo di matrice arabo-palestinese. Si attua in questa occasione una frattura “tra l’organizzazione terroristica originaria e quella che da essa si distacca”. Frattura che “porta tendenzialmente a un incremento dell’uso della violenza e, conseguentemente, a una definizione dei target più orientata verso la massa, quindi votata più allo stragismo indiscriminato che non al terrorismo selettivo”. Insomma, i tempi cambiano e il terrorismo comincia ad assumere quei tratti che ben conosciamo oggi e che sono divenuti la norma a seguito degli attacchi alla Torri Gemelle dell’11 settembre 2001.

Il 1985 segnò il declino d’immagine dell’Olp, non più in grado di tenere a frane le proprie frange più estremiste. Un declino che portò il primo ministro Craxi a menzionare per la prima volta pubblicamente la possibilità che la responsabilità degli attentati potesse essere attribuita a uno Stato estero (a quale precisamente, precisa l’autrice del volume, non è possibile stabilirlo stante la documentazione attualmente disponibile).

Con questo libro, Valentine Lomellini ci consente di riscoprire un passato molto più complesso di quanto non appaia sui manuali di storia tradizionali.

Un passato in qualche modo cancellato, spazzato via proprio dagli attentati del 2001, ma che se studiato con attenzione è in grado di fornirci ancora oggi strumenti utili per affrontare le sfide di domani.

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