Quattromila anni di poesia in un'antologia per "ribelli"

La megaraccolta a cura di Crocetti e Brullo parte dagli antichi testi indiani e arriva all'italia dei giorni nostri

Quattromila anni di poesia in un'antologia per "ribelli"

Tra le menzogne più riuscite della critica letteraria, c'è la coincidenza tra scrittore e romanziere, tra libro e narrativa. Semplicemente, il critico accoglie i desiderata dell'industria editoriale. I romanzi vendono, dunque esistono solo i romanzi. Si parla di quelli e stop. Una visione miope che autorizzava, insieme con una falsa definizione di democrazia, il buttare a mare ogni sapere specifico: la storia della lingua, la metrica, la filologia, la paleografica. Al posto, giusto un po' di sociologia, facilissima da maneggiare (male) e appiccicare sopra a romanzi sempre più stereotipati.

Assistiamo così alla ridicolaggine di poeti incapaci di riconoscere un endecasillabo e di critici incapaci di distinguere una poesia da un pensierino da liceale depresso. Tutti scrivono poesie: basta andare a capo nel punto sbagliato. Tutto questo in Italia, ovvero un Paese che ha una ricchissima tradizione poetica e non solo. A inizio Novecento, ad esempio, la prosa lirica era un (non) genere tra i più praticati. Oggi ricordiamo a stento i Frantumi di Giovanni Boine, le Orchestrine di Arturo Onofri, i Trucioli di Camillo Sbarbaro. Senza dimenticare il Gabriele d'Annunzio delle Faville del maglio e di Notturno. Dimmi un verso anima mia. Antologia della poesia universale (Crocetti editore, pagg. 1250, euro 50) prova a rimettere le cose a posto con un'autentica impresa critica ed editoriale. L'uomo ha sempre scritto poesie, fin da quando ha levato la testa al cielo per la prima volta, e Nicola Crocetti e Davide Brullo ne hanno le prove. E ora anche noi lettori, grazie a questa incredibile antologia che parte dal 2000 avanti Cristo e arriva ai giorni nostri, dopo un viaggio tra India e Europa, Oriente e Occidente, Sud e Nord. Testi sacri, tradizionali, raccolte d'autore, frammenti. C'è di tutto, di tutte le epoche e di tutti i luoghi. Non iniziamo neanche col giochetto delle presenze e delle assenze. Una scelta si doveva pur fare. Per gli esclusi, si potrebbe comunque apportare un secondo volume. Un lavoro simile comporta una enorme quantità di traduzioni e traduttori (laddove non abbiano provveduto i curatori stessi). Piace segnalare il classicista Ezio Savino. Solo Nicola Crocetti e Davide Brullo potevano misurarsi con l'impossibile e tornare a casa con un libro formidabile. Crocetti ha sfidato il mercato per decenni con la sua rivista Poesia e con la sua casa editrice di qualità impeccabile. Brullo... Facciamo così: leggete i Salmi tradotti da Brullo e capirete cosa sia un fuoriclasse della poesia, come scrisse Cesare Cavalleri, uno che dava del «tu» a Pound e intesseva carteggi con Eliot. Entrambi, Crocetti e Brullo, sono glorie di questo Giornale, il che non guasta. Entrambi, nelle rispettive introduzioni, suggeriscono il modo corretto di spolpare un piatto ricco come quello servito nell'antologia. Un po' alla volta, aprendo a caso, in cerca di ispirazione o di consolazione o di nuove parole per descrivere il proprio stato d'animo. E noi seguiamo il consiglio. Il primo carotaggio è subito sopraffino: il poeta provenzale Jaufré Rudel (1125-1148), uno dei primi cantori dell'amor cortese, e soprattutto dell'amor de lonh, l'amore da lontano, impossibile: «Non prenderò mai gioia dell'amore/ se non godrò quest'amore lontano».

Non solo la donna è al di là di valichi insuperabili, il povero Jaufré, come molti altri trovatori, è stato stregato affinché non fosse mai amato. Il secondo assaggio è decisamente erotico. Trattasi di Veronica Franco (1546-1591), rinomata prostituta, poetessa e sospettata di stregoneria. Questo l'incipit: «Così dolce e gustevole divento,/ quando mi trovo con persona in letto,/ da cui amata e gradita mi sento,/ che quel piacere vince ogni diletto». La terza portata è Samuel Taylor Coleridge (1772-1834) e il Kubla Khan tradotto da Alessandro Ceni. Si diffonde nell'aria il dolce profumo della cannabis mentre si odono versi fondatori del Romanticismo: «A Xanadu Kubla Khan volle/ un imponente dimora di piacere/ dove Alfeo, il sacro fiume, trascorre/ per caverne smisurate ad occhio umano/ e s'immerge in un mare senza sole». La prima pagina ci introduce alla letteratura indiana antica e al Rgveda, inni della conoscenza. È una genesi: «In principio vi era solo tenebra nascosta dalla tenebra. Acqua indistinta era tutto questo universo. Il germe dell'esistenza, che era avvolto dal nulla, grazie al potere del suo ardore interiore, nacque come l'uno». Possiamo paragonare, nelle pagine della antologia, questo passaggio con gli antichi testi egiziani o dei popoli mesoamericani o con la Bibbia e il Vangelo, soprattutto di Giovanni: «Il Verbo era nel principio, e il Verbo era in Dio, e Dio era il Verbo. (...) In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini./ E la luce splende nelle tenebre e le tenebre non la offuscarono». In generale, si ricava la conferma che il primo impulso alla scrittura poetica fu la religione ovvero la ricerca dell'origine e la preparazione alla fine. Le acque, le tenebre, la luce sono i testimoni della nascita della vita.

Giovanni convoca anche il Verbo e sulla fiducia nel Verbo era cresciuta la nostra civiltà oggi accecata e umiliata dalle vuote chiacchiere digitali. In fin dei conti, aprire questo libro, che restituisce dignità alla parola, grazie alla poesia, è un piccolo gesto rivoluzionario e di resistenza al nulla che incombe.

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