Superlunaria, la rivista che non esiste

Una rivista che prende sul serio l’immaginazione, che costruisce un mondo dove l’invenzione è l’unico modo per dire la verità

Superlunaria, la rivista che non esiste
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C’è una rivista che non esiste. O meglio, esiste perché finge di non farlo. Una rivista che si finge immaginaria per raccontare ciò che più reale non si può: le nostre ossessioni stagionali, i cortocircuiti della memoria, i luoghi comuni in abiti da sera. Si chiama Superlunaria, ha appena compiuto un anno, e in questo primo compleanno si regala una collezione completa dei suoi sei numeri bimestrali e un numero estivo che è insieme manifesto, parodia e dichiarazione d’amore per ciò che non serve a nulla, ma ci salva.
Siamo nell’era del funzionale. Ogni parola deve giustificarsi. Ogni pagina deve servire a qualcosa. E invece questa rivista è un inno al superfluo, all’intelligente capriccio, al pensiero laterale che si tuffa – letteralmente – in acque troppo limpide per esser vere. Il tema è l’estate, ma non l’estate da cartolina, né quella delle ansie da prestazione climatica, dei termometri impazziti o dei corpi levigati. Qui l’estate è uno spazio mentale, un’ossessione culturale, un ricordo che scotta più del sole.
L’editoriale apre come un sorso d’ombra: c’è Tomasi di Lampedusa, c’è Bufalino, c’è la Sicilia che è più che un’isola, è una stagione dell’anima. Non si scrive per far freddo, ma per surriscaldare il linguaggio. E così ogni pezzo diventa un piccolo cortometraggio, un’immagine sgranata di Italia ‘90 dove i Righeira ballano coi nostri rimpianti e la malinconia è la vera colonna sonora dell’estate.
C’è un uomo che vive in un futuro freddo, dove l’estate è stata abolita come un vizio, un lusso climatico che non ci si può più permettere. C’è Baudrillard che ti guarda da un tavolino sotto l’ombrellone, mentre bevi qualcosa che non sai bene cosa sia: forse marketing allo stato liquido. C’è il “tuffo”, quel gesto così abusato da sembrare una caricatura del desiderio. Si cade nel mare come si cade nell’algoritmo: con stile, ma senza salvezza.
E poi, come in ogni numero di Superlunaria, c’è la genialità travestita da scherzo. Il referendum per abolire l’estate – un sogno bagnato di tutti gli impiegati senza ferie –, le lotte sociali che si spostano dai quartieri alle escursioni di montagna, la satira delle rassegne culturali estive che non esistono ma sembrano troppo vere per non esserlo. Fino alla perla metagiornalistica: la denuncia – con tanto di prove – che i telegiornali, ogni agosto, ci rifilano le stesse immagini delle città vuote. Sempre le stesse. Milano come un plastico. Roma come un’ipotesi.
Superlunaria è tutto questo: una rivista che prende sul serio l’immaginazione, che costruisce un mondo dove l’invenzione è l’unico modo per dire la verità. È un luogo antieroico perché non ha eroi da esibire, ma solo lettori da sorprendere. È una macchina narrativa che gira a vuoto con precisione svizzera, che raccoglie voci, deliri, sogni, ipotesi e li cuce come un sarto matto di provincia.
Il bello di questa rivista è che non rincorre il presente. Lo osserva come si guarda una festa a cui non si è stati invitati. E da questa distanza riesce a dire ciò che il presente non sa più dire di sé. Ogni numero è una sfida alla noia, una rivincita dell’assurdo, un esperimento letterario travestito da passatempo. E in questo numero estivo tutto si concentra, come il sole di mezzogiorno: l’arte di prendersi gioco del tempo, la voglia di raccontare il mondo da un’angolazione spiazzante, la capacità di usare la cultura come una maschera di carnevale, allegra e colta.
Superlunaria è inutile. Ma è proprio questa la sua forza. In un’epoca dove tutto deve produrre, convertire, monetizzare, questa rivista osa essere fine a sé stessa.

Non serve, non consola, non guida. Racconta. E lo fa con la grazia anarchica di chi ha capito che l’unica forma di resistenza è l’ironia.
Una rivista così nasce una volta sola. O forse due. Ma solo se l’estate è davvero un’illusione felice

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