Umana, troppo umana: la neuromatrice diventata detective

In "Le radici del male" di Dantec si realizzano gli incubi più attuali

Umana, troppo umana: la neuromatrice diventata detective

Una intelligenza artificiale, se modellata sul nostro cervello, potrebbe spalancarci le porte della percezione. Potrebbe forse aiutarci a percorrere i circuiti che definiamo virtuosi e a vedere la realtà con una migliorata precisione. Ma potrebbe anche sprofondarci in una troppo accurata conoscenza del male, un pozzo dal quale potrebbe essere difficile uscire. Cos'è poi il male? Maurice Dantec, in Le radici del male (minimum fax, pagg. 641, euro 21, traduzione di Luigi Bernardi e Sabina Machiavelli), offre la sua definizione: il male nasce dal tranciare le radici con il passato, la famiglia, la comunità. Può essere un delirio solipsistico o una perversione condivisa. Il romanzo di Dantec, pubblicato una prima volta, senza successo, da Hobby&Work nel 1999 è tutto tranne un banale giallo. Fa bene il nuovo editore, minimum fax, a collocarlo accanto ad autori inclassificabili come William T. Vollmann. Dantec è considerato un compagno di strada del miglior Houellebecq, quello delle Particelle elementari, ed è fortemente influenzato dalla scena cyberpunk rispetto alla quale è quasi contemporaneo. Nelle Radici del male risuona più di una eco del Neuromante di William Gibson. Aggregato Oltralpe al gruppo dei nuovi reazionari, proprio accanto al citato Houellebecq, Dantec paga un duro conto al destino, che lo ha voluto morto troppo presto, nel 2016. Non c'è dubbio però che la suggestione possa funzionare. Il male, in Dantec, come si diceva, si manifesta quando vengono recise le radici: «Le loro radici sono tagliate, Dark. Le radici che li collegavano alla Vita, alla Bellezza e all'Unità. Al loro posto sono germogliate le radici dell'Albero della Morte. Le Radici del male. Sono le forme dell'Antimondo, della distruzione. Dell'autodistruzione...». Il romanzo è straordinario. Le prime 150 pagine sono una rapidissima discesa agli inferi. Il folle Andreas è convinto di vivere in un mondo dominato segretamente dai nazisti in combutta con gli alieni. È un pazzo, ma con un metodo. Infatti riesce a mettere a segno numerosi omicidi prima di essere catturato e sottoposto a una minuziosa analisi psichiatrica alla quale partecipa il vero protagonista: Dark, uno scienziato che lavora alla creazione di una neuromatrice, una simulazione perfetta di una personalità umana alla quale si aggiunge la capacità tutta cyberpunk di violare qualsiasi archivio informatico per raccogliere le informazioni necessarie. Il giallo, violentissimo, si trasforma un poco alla volta in qualcosa di infinitamente più raffinato e complesso. Andreas viene catturato e interrogato. Ma la neuromatrice, analizzando una mole sterminata di dati, riesce a capire che Andreas non è colpevole di tutti gli omicidi che gli vengono addossati. Anzi. C'è qualcuno che sta giocando a disseminare di cadaveri l'intero arco alpino, dalla Francia all'Italia orientale. Il rituale assassino va avanti da decenni e diventa sempre più crudele e spettacolare. Al passaggio del millennio, la setta progetta una azione grandiosa, che lasci annichiliti i difensori del bene. Chi sono i colpevoli? Ve lo lasciamo scoprire, visto che l'impianto giallistico di Dantec funziona perfettamente. Quello che si può dire è che le riflessioni sulla neuromatrice, a tutti gli effetti una intelligenza artificiale, diventano, pagina dopo pagina, preponderanti e cruciali. La neuromatrice, per essere efficace, non deve limitarsi a triturare una quantità infinita di numeri, facce, orari, circostanze. Per superare sé stessa deve riprodurre alla perfezione il modo di pensare degli esseri umani. Non deve simulare: deve comportarsi allo stesso modo. Presto, però, la neuromatrice, o intelligenza artificiale che dir si voglia, supera l'uomo perché riesce a integrare, nel suo punto di vista, quello di più modelli umani. La neuromatrice dunque conosce tutte le sfumature del comportamento della nostra specie. Ecco tornare, minacciosamente, nei circuiti di silicio, il vecchio Andreas. Ma questa volta la sua cattiveria potrebbe essere al servizio di una giusta causa. Forse. Il romanzo di Dantec, uscito in Francia nel 1995, è forse il risultato migliore della moda cyberpunk importata in Europa. Il modello, per certi versi ancora insuperato, è Neuromante di William Gibson dove va in scena uno scontro sotterraneo, nei meandri della Rete, fra due intelligenze artificiali. Era il 1984. Gibson era arrivato con la fantasia al punto in cui siamo oggi: le intelligenze artificiali sono presentate al grande pubblico della Rete e si levano i primi allarmi sulla loro possibile autonomia dall'uomo. Nel romanzo ci sono AI buone e AI cattive, anche se riesce difficile distinguere le une dalle altre. Le azioni nel cyberspazio hanno ripercussioni molto dirette nella realtà. L'Intelligenza artificiale è dunque presentata in tutte le sue potenzialità, positive e negative. Ma chi ha detto che le intelligenze artificiali dovrebbero essere interessate ai propri programmatori? Tra i visionari che hanno preso in esame la pratica, non possiamo non citare il polacco Stanislaw Lem, già autore dell'epocale romanzo Solaris. Lo scrittore immaginava, in Golem XIV, un futuro radicalmente diverso per le intelligenze artificiali. Golem XIV, la macchina perfetta, si sarebbe presto stufata di gestire i sistemi industriali e militari dell'umanità.

Abbandonati i suoi creatori al loro destino, Golem XIV, al culmine della sua perfezione, diventa una macchina filosofica: si interroga sul suo destino e sul destino del cosmo. L'intelligenza artificiale, giunta al massimo dello sviluppo, incomincia a farsi le domande che l'umanità si fa da sempre: chi sono, dove sono, che fine farò.

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