È veramente insopportabile, quanto diffusa, l’attitudine di chi vuole insegnare agli altri il senso dei propri errori. Quante volte si ascoltano prediche di chi ha sbagliato per una vita e cerca di convincere della bontà di una nuova posizione. Che poi è quella negata, appunto, per una vita. Senza alcuna autocritica. La campagna elettorale che di fatto è già iniziata sta assumendo questo sapore, almeno su due fronti importanti.
Il primo, politico, riguarda la lezioncina sulla compattezza e l’unità degli schieramenti. Il secondo, economico, verte sull’opportunità di ridurre le imposte.
Il fatto che l’attenzione si sia polarizzata su due schieramenti è un vantaggio per il Paese. La competizione appare essenzialmente tra il Pd veltroniano e il Pdl berlusconiano, che con tutta probabilità risulteranno essere i due partiti largamente più votati il 13 aprile. Ma l’idea che la vocazione maggioritaria di Veltroni abbia aperto la strada, dettato la linea e costretto anche Berlusconi ad adeguarsi è ridicola. Così come risibili sembrano i tentativi di andare a cercare una presunta disomogeneità del centrodestra.
Il matrimonio forzato nel Pd non nasce mica per opera del mago Zurlì, ma dalla banale constatazione che la coalizione di Prodi non ha tenuto. L’unione a sinistra più che da una scelta nasce da una necessità. Fino a qualche mese fa il tentativo di giustificare la coalizione brancaleone veniva dottamente spiegato con la «polifonia» degli interessi rappresentati. Tutte balle. E tutti lo capivano. Sentire oggi la lezione da sinistra sulla presunta disomogeneità del centrodestra, fa dunque sorridere. Tra un po’, se continuiamo di questo passo, ci spiegheranno che il ’68 è stato un anno orribile, figlio della cultura conservatrice.
Altrettanto mistificante è il ragionamento sulle imposte. Veltroni ha chiesto che si riducano. Come per la sua vocazione maggioritaria, anche in questo caso si tratta di un passo avanti. Per cui la competizione politica ne trae vantaggio. Ma non ci si può dimenticare che il ministro per il quale le «tasse sono bellissime» si chiama Tommaso Padoa-Schioppa e che il suo vice ministro delle Finanze è Vincenzo Visco. Non si tratta di due marziani, ma di due esponenti consustanziali al progetto di un partito unico riformista e cioè il Partito democratico.
Non si può far finta sempre e comunque che nulla sia successo e che tutto possa cambiare forma nell’espace d’un matin.
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