Lia Rumma: «Ecco il mio tempio»

L a sensazione, varcando la soglia del gigantesco cubo bianco di cemento e vetro che svetta nel cielo plumbeo di fronte a Villa Simonetta, è quella di entrare in uno dei sancta sanctorum dell’arte contemporanea di Chelsea, il quartiere delle grandi gallerie di Manhattan. Niente uffici né magazzini in vista, nei quattro piani che contengono i mille metri quadri del nuovo spazio di Lia Rumma, che da sabato inaugura la più grande galleria privata italiana. Viene in mente l’Expo e il futuro museo d’arte di Libeskind, ma qui c’è chi si porta avanti. Manhattan, dicevamo, o il Mitte di Berlino, oppure Basilea, i nuvoloni di questi giorni fanno il resto. Ma dentro batte un cuore mediterraneo, quello di una gallerista che tra Napoli e Milano ha sviluppato uno dei poli più internazionali del mercato dell’arte made in Italy. I dipendenti dell’azienda lucidano la reception prima del grande opening. Lei, tutta vestita di nero, osserva come un ammiraglio dalla tolda di una nave. «New York? Io, a dire il vero, sono orgogliosa di essere italiana e gli artisti internazionali che sono entrati qui hanno avvertito la grande classicità delle proporzioni di questo spazio. Ne sono felice». Ci sono voluti due anni per demolire la vecchia fabbrica dismessa di transistor e mettere in piedi il «tempio», realizzato dallo studio di architettura Ciellesse. In fondo un record, considerati i tempi biblici di certi lavori pubblici cittadini. La luce naturale che filtra dalle vetrate e dialoga armoniosamente con quella diffusa dall’impianto ideato dal progettista Nunziante Vitale, accresce l’atmosfera di sacralità. Sul fondo all’open space, al centro del white cube, si erge come in una scatola cinese un altro cubo bianco che potrebbe contenere il mistero del santo Graal. All’interno, in una luce quasi abbagliante, la prima parte della mostra del pittore concettuale Ettore Spalletti, che prosegue nei piani superiori. «Non avevo mai trattato questo artista che ha ormai settant’anni ma poeticamente è giovanissimo». Inaugurare con un grande classico dell’arte Povera sembra un segnale preciso anche per chi, come la gallerista napoletana, ha una scuderia che vanta i maggiori nomi della scena contemporanea, da Anselm Kiefer a William Kentridge, da Vanessa Beecroft ad Haim Steinbach, da Marina Abramovic ad Alfreo Jarr. «Con la crisi economica -dice- c’è bisogno di certezze, e il mercato dell’arte, purtroppo, non è stato esente da grandi speculazioni». Di certo, la nuova stagione di Lia Rumma parte all’insegna della fiducia. Oltre al grande spazio di via Stilicone 19, ha da poco inaugurato la nuova galleria di Napoli in un palazzo storico del centro «dove il mese prossimo presenterò il progetto che l’artista tedesco Tobias Zielony ha realizzato alle vele di Scampia sul filone di Gomorra».
Mostre, ma anche progetti site specific, dunque. «Uno spazio come questo mi consentirà di dare il massimo respiro all’arte che ha bisogno di raccoglimento e religioso silenzio. Ma andrò avanti anche sul terreno delle contaminazioni e nell’aprile del 2011 porteremo alla Scala “Il flauto magico“ di William Kentridge, già andato in scena al San Carlo di Napoli». E i giovani italiani? «È un tasto dolente perchè promuoverli a livello internazionale non è facile; in Italia, e Milano non fa eccezione, manca purtroppo il sostegno di musei, kunsthalle e accademie, e gli artisti non hanno curriculum come i loro colleghi europei».

Ora, però, qui un museo contemporaneo arriverà. «Così dicono, ma aspetto di vederlo. Nel frattempo mi accontenterei di avere, dopo due anni di lavori, l’allacciamento del gas metano, altrimenti a ottobre congeleremo, altro che Expo».

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