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Il Libano dice no alla Siria: Hariri verso la maggioranza

Il partito del figlio dell’ex premier ucciso sostiene di aver vinto l’ultimo turno delle legislative. Risultati ufficiali solo oggi

da Beirut

L'alleanza anti-siriana guidata da Saad Hariri, figlio dell'ex premier assassinato in un impressionante attentato il 16 febbraio scorso, afferma di essersi aggiudicata la quarta e ultima tornata delle elezioni politiche tenute ieri nel Nord del Libano e che con ogni probabilità avrà la maggioranza assoluta nel nuovo Parlamento di Beirut. Si tratta per il Paese dei cedri di elezioni di cruciale importanza, le prime in trent’anni che si tengono senza l’ingombrante presenza dei soldati di Damasco, e soprattutto dell’onnipresente servizio segreto siriano, accusato di innumerevoli assassinii di politici e giornalisti.
«Stiamo andando verso una vittoria a valanga nel Nord del Libano, certamente riusciremo a conquistare i 21 seggi necessari per ottenere la maggioranza assoluta nel nuovo parlamento», ha detto un portavoce di Al Mustaqbal (Il Futuro), il movimento capeggiato da Saad Hariri.
Nelle tre precedenti tornate tenute nelle scorse domeniche, lo schieramento che fa capo all'erede dell'ex premier Rafik Hariri (e che comprende il partito del druso Walid Jumblatt e numerosi candidati cristiani riuniti sotto la sigla Forze Libanesi) si era aggiudicato 44 dei 128 seggi del Parlamento. Se effettivamente conquisterà almeno 21 dei 28 che erano in palio ieri, arriverà a quota 65.
Rafik Hariri è morto sul lungomare di Beirut nel giorno di San Valentino in un attentato in cui l'opposizione ritiene siano stati implicati i servizi segreti libanesi e siriani. Pochi giorni fa la commissione d’indagine nominata dall’Onu e guidata dal procuratore tedesco Detlev Mehlis ha stabilito che l’ex capo del governo è stato ucciso da un camion-bomba. L’esplosione era stata così potente da far ritenere che un’enorme quantità di tritolo fosse stata collocata sotto il selciato e fatta detonare a distanza.
L’uccisione di Rafik Hariri ha provocato un vero e proprio terremoto che ha innescato una crisi politica e che ha portato a imponenti proteste di piazza. Le pressioni internazionali hanno a loro volta convinto la Siria a ritirare le sue truppe presenti dal 1979 in un Libano trasformato di fatto in un protettorato di Damasco.
Nel corso dei quattro turni, i vari schieramenti si sono rimbalzati accuse di acquisto di voti e intimidazioni, in un contesto di estrema confusione. Entro oggi una missione di osservatori dell'Unione Europea dovrebbe rendere noto il suo verdetto in merito. Nonostante il voto di ieri sia stato ampiamente giudicato cruciale, l'affluenza alle urne dei 690mila aventi diritto al voto è stata di appena il 40 per cento, in una regione dove i cristiani sono il 45 per cento e i sunniti il 55.
La lista antisiriana si è confrontata con uno schieramento multiconfessionale di esponenti filosiriani e candidati sostenuti dal generale cristiano a riposo Michel Aoun, un tempo nemico acerrimo della Siria e molto popolare in questa regione del Libano. Aoun, rientrato da un esilio quindicennale, pur di sconfiggere Hariri ha rotto il fronte antisiriano e si è alleato con l'ex ministro degli Interni, il deputato Suleiman Franjeh.

I risultati ufficiali della tornata elettorale tenuta nel nord del Paese saranno resi noti nella giornata di oggi.
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