Paolo Marchi
Italo Manca è un sardo-ligure arrivato a Milano quindicenne. Era il 1955. Tre anni dopo partiva per il mondo, uomo di sala più che di fornelli. Trascorsi altri sedici era di nuovo a Milano, che non avrebbe in pratica più lasciato. Occhiali, baffi e sigaro Avana in bocca, tuttora, nel 74 era socio del leggendario bar Oreste e della Latteria di vicolo Giardini, un lustro dopo avrebbe aperto in via Anfiteatro la Vittoria (chiusa nell82, vi ho lasciato un pezzo del mio cuore), un altro anno e l11 novembre dell80, in via Palermo alzava per la prima volta la saracinesca della Libera, insegna proprio sotto casa sua e quella della compagna di una vita, Patrizia Maraviglia.
Partner in questa impresa è Gino Narducci, un posto che venne aperto, ricorda sempre il menù, come «Birreria con cucina». Per logo ha ancora, per affetto, due boccali ricolmi di birra lucchettati tra loro, unofferta che si è quasi azzerata perché agli inizi era complicato rifornire con puntualità la carta birrosa e oggi sarebbe difficile distinguersi. Restano le pizze (nove, da culto la Selvatica), senza che sia una pizzeria, e il vino alla spina, Merlot e Cabernet, Tokai e Pinot bianco, un quarto di secolo fa una novità. E perdura uno straordinario orario: il locale è aperto esclusivamente la sera, 360 sere allanno. Serra giusto il 24, 25 e 31 dicembre, Pasqua e Ferragosto.
Per quante realtà avrebbe lanciato (nell81 anche il primo indiano dItalia, non capito però, durò sei mesi appena), il nostro non si è mai allontanato da Brera-Garibaldi, non ha mai tradito lanima artistico-popolare del quartiere e quindi non ha mai abbracciato il becerume che va oggi di moda al punto che per tanti andrebbe splendidamente bene il nome della trattoria di Firenze che ha ispirato a Manca quello della sua: La Libera Scoreggia.
Italo ha i suoi sentieri e li cammina con sentimento, senza mai cercare il conforto delle guide, senza arruffianarsi la critica. Non fa ristorazione per avere un giorno la stella Michelin, piuttosto vuole che i clienti, ormai alla terza generazione, si sentano bene come se cenassero con gli amici a casa loro.
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