
Capire il passato per vivere l'oggi con più serenità e consapevolezza. Lo scrivevano già gli antichi ed è così che Milano ha scelto di ricordare gli 80 anni dalla Liberazione: ponendo l'accento sui corsi e ricorsi della storia, su quel mix virtuoso fra una potente spinta capitalistica e una solida coscienza collettiva che ha costruito l'identità della città facendone un modello ancora riconoscibile ai nostri giorni. Una dialettica che si legge con chiarezza nella mostra documentaria Milano 1945-1964, dalla Liberazione alla Ricostruzione, visitabile dal domenica 12 ottobre fino a fine anno alla Cittadella degli Archivi di via Gregorovius. L'esposizione, curata dal Dipartimento di Studi Storici Federico Chabod della Statale (responsabile scientifico Marco Cuzzi), rende accessibili al pubblico documenti, fotografie, oggetti, plastici, manifesti e curiosità dal dopoguerra alla fine del miracolo economico. "Per celebrare quell'equilibrio fra intraprendenza imprenditoriale e socialismo che rese possibili a Milano, sola città in un Paese combattuto fra Dc e Pci, vent'anni di socialdemocrazia", ricorda il direttore della Cittadella Francesco Martelli. "Non è un caso che i sindaci fino ad Aniasi provenissero dalle file del Psdi, in anni in cui quest'ultimo era colpito a sinistra dall'onda lunga dell'anatema di Stalin e sconfessato dai democristiani per la sua prospettiva laica".
Interessante la scelta di concentrarsi non tanto sul momento della Liberazione, ma su ciò che arriva immediatamente dopo e che fa della città un laboratorio politico e sociale unico: da una parte la Milano dei grattacieli e dei consumi, embrione della metropoli "da bere" degli anni Ottanta, dall'altro quella delle masse che, dall'hinterland, iniziavano ad affacciarsi nelle vie e nelle piazze del centro. Il percorso espositivo si apre con manifesti della Repubblica di Salò e prime pagine di giornali come L'Unità, il Popolo, l'Avanti, l'Italia libera e il Nuovo Corriere con l'annuncio dell'insurrezione partigiana. Suggestiva la sezione dedicata al referendum del 1946, arricchita da un'urna originale in cui è possibile inserire la propria scheda in un'apposita cabina elettorale fedelmente ricostruita, con l'aiuto delle liste elettorali dell'epoca.
Cuore della mostra è il focus sull'urbanistica fra anni Cinquanta e Sessanta, con una città che, come nessun'altra, ha saputo letteralmente ricrescere dalle proprie macerie. "Il Piano di Ricostruzione è del 1949 - spiega Martelli-, ma il primo vero Prg postbellico data 1953. Fu realizzato in legno e conservato in appositi bauli: oggi lo esponiamo per la prima volta completo, con tanto di ordinanze del sindaco sullo sgombero macerie e rastrellamento ordigni inesplosi". Ecco la "città che sale", a cui contribuirono i più grandi: Gio Ponti, Portaluppi, Mattioni, Soncini, il Bbpr, Albini, Gardella, Figini, Caccia Dominioni, Pollini, Mangiarotti, Malchiodi, per ridisegnare il futuro all'ombra del Duomo, dal Pirellone alla Velasca, dalla Torre Breda alla Vela di Moretti in Corso Italia, fino al QT8 progettato da Bottoni. Le facciate si riempirono di vetro, luci, cartelloni pubblicitari. "È un'occasione - aggiunge Martelli - per scoprire che cambiano gli anni e le persone, ma i temi restano gli stessi anche oggi, fra gli investimenti nei grandi progetti di riqualificazione urbana e il controcanto dei comitati".
La mostra si chiude con un'inaugurazione: quella della Linea 1 della Metropolitana, la prima in Italia che in pochi minuti porta gli abitanti delle periferie nel cuore della città dei consumi. Un "filo rosso" fra due volti di Milano distanti ma non troppo.