Politica

Liberi di delinquere con la benedizione dei giudici

Hanno stuprato due bambine e non dovevano neppure essere in Italia. A pochi giorni di distanza da quella del tunisino di Bologna, ecco la storia emblematica del rumeno di Roma: entrambi fermati, entrambi espulsi, entrambi lasciati liberi di girare per le nostre strade. Di rubare, di rapinare, di violentare. C’è un problema? Il ventriloquo delle procure, che ha in testa solo i reati dei colletti bianchi e farnetica sull’Unità e su Raidue, lo nega e preferisce dilettarsi con i disegnini. Ma un problema c’è, grande come una casa.
Il tunisino Jamel Moamid, che ha selvaggiamente sconciato una quindicenne a Bologna la settimana scorsa, e il rumeno Loyos Isztoika, coautore della barbarie di San Valentino su una ragazzina di 14 anni, sono solo gli ultimi esempi: quando ha a che fare con gli immigrati, una larga frangia dei nostri magistrati viene colta da improvvisa magnanimità, da un inedito formalismo, da una volontà tenace di contraddire le richieste delle forze dell’ordine. «Sostenete che questo individuo è pericoloso? E io non ci credo. Volete l’accompagnamento coatto al confine? Ma nemmeno per sogno. C’è un decreto di espulsione firmato dal prefetto? E io lo cancello». Esattamente questo è avvenuto con Loyos, lo stupratore «per dispetto», al quale un giudice ha spensieratamente restituito la libertà di delinquere, mettendo delle metaforiche manette ai poliziotti che lo fermavano la mattina ed erano costretti a lasciarlo andare la sera.
Chi è l’autore del capolavoro giuridico? Non si sa, non ce lo dicono. C’è una levata di scudi se appena si propone di vietare per legge di citare i pm titolari delle inchieste, in modo da evitare di creare star più inclini a processi mediatici che giudiziari. Ma, chissà perché, in questo caso nessuno si presenta davanti alle telecamere per rivendicare la paternità di un atto per il quale sarà ricordato per sempre da una ragazzina romana e dai suoi cari. Il palazzo di giustizia di Bologna fa quadrato: nessun parli. E così non si riesce neppure a sapere chi faceva parte del collegio che ha beneficiato il tunisino, scarcerato perché, malgrado i precedenti per droga e i provvedimenti di espulsione già disattesi, non si è ritenuto esistesse pericolo di fuga o di reiterazione del reato: difatti, anziché spacciare eroina, stavolta Jamel Moamid ha preferito stuprare una giovinetta. Chi dobbiamo ringraziare? Mistero.
Chiunque sia, però, si trova in buona compagnia. Di magistrati attivamente impegnati a scardinare ogni provvedimento (sia esso del governo Berlusconi o del governo Prodi) studiato per proteggerci dagli immigrati criminali ce ne sono infatti a decine. Il nostro Stefano Zurlo ha recentemente fatto un racconto magistrale di una giornata-tipo in un tribunale: come in una catena di montaggio, i clandestini arrestati vengono processati o rinviati a giudizio e poi, immancabilmente, rilasciati. Tutti (ma proprio tutti) sanno che cosa faranno appena varcato il portone. Eppure nessuno fa nulla per impedirglielo. Salvo poi indignarsi quando l’algerino Yousef Maazi (20 tra denunce e condanne, due decreti di espulsione sulle spalle) stupra un disabile nella stazione di Milano. O quando due albanesi (clandestini, ladri, rapinatori, violentatori e puntualmente scarcerati) torturano e massacrano due custodi in provincia di Treviso. Ma c’è poco da meravigliarsi se loro, come Loyos Isztoika, come Jamel Moamid, dalla frequentazione con la nostra giustizia hanno tratto la convinzione che in Italia un immigrato, meglio se clandestino, possa macchiarsi di qualsiasi crimine senza pagare pegno.
Un sociologo di sinistra come Marzio Barbagli da anni lancia allarmi sul rapporto tra stranieri presenti in Italia e reati commessi: gli immigrati sono il 6 per cento della popolazione, ma sono responsabili del 40% delle violenze carnali, del 49% dei furti, del 24% degli omicidi, del 32% dei tentati omicidi, del 30% dei traffici di droga. Non è un problema? E non è un problema doppio se, anziché essere rigorosa, con loro la giustizia tende troppo spesso a mostrarsi «buonista»? Forse sì. Ora, con calma, qualcuno dovrebbe spiegare il tutto a Travaglio e all’Unità.

Magari con un disegnino.

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