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La libertà non si negozia. E Donald rischia

L'incontro fra Mamdani e Trump è stato scherzoso, frivolo, un po' come quello del presidente con l'ex terrorista al Shaara, ora presidente siriano: un gioco continuo col fuoco, con un sorriso paterno

La libertà non si negozia. E Donald rischia
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Il dilemma cui Zelensky è costretto in queste ore, "perdere l'onore o il più importante fra i nostri alleati", è terribile e ingiusto; e altrettanto non si può dire dell'incontro fra il presidente Trump e il nuovo sindaco di New York, Zohran Mamdani. Tuttavia, la coincidenza temporale fra i due eventi ci interroga su come i nostri tempi sono avvolti in grandi questioni sui temi delle alleanze, della pace, della strategia e dell'ideologia del maggiore leader che più di ogni altro muove le pedine e lo fa con due obiettivi continuamente ribaditi: America first e la pace mondiale.

I due eventi sono molto significativi perché riguardano il pilastro ideologico su cui si basa l'Occidente, lo scopo su cui gli Stati Uniti poggiano la loro primogenitura dai tempi della fine della schiavitù con la ratifica del 13° emendamento nel 1865. Libertà è la parola chiave, e Zelensky in questo momento, dopo i 28 punti proposti che di fatto lo stringono in tempi brevi rispetto agli aiuti degli Usa, sente che là affonda la lama della storia: perché di fatto l'impresa pacificatrice americana si scontra con uno zoccolo duro russo molto più solido di quanto forse anche Trump si aspettasse. Quanto Trump abbia giocato con Putin una partita troppo furba, mentre dall'altra parte c'era un'intenzione molto semplice e chiara, quella di vincere la guerra in Ucraina, è difficile stabilirlo: di fatto non ne esce bene Trump, non ne esce bene l'Europa che non ha fatto nulla, si consolidano e tengono per Putin anche Cina, Iran e soci.

Mamdani era il giovane candidato islamico su cui Trump disse "gli ebrei che votano per lui devono essere pazzi". Adesso, da sindaco nientemeno che di New York, è stato ricevuto alla Casa Bianca con molti sorrisi. Eppure è stato eletto, oltre che da comunista, sull'evidente onda mondiale di antisemitismo con un potente risvolto jihadista, violento, facendo leva su un elettorato woke e pro Pal, che l'ha scelto perché da ragazzo ha fondato "Students for justice in Palestine", dice che Israele ha compiuto crimini di guerra, è per "l'Intifada permanente", è pronto ad arrestare Netanyahu se tocca terra a New York, ha promesso di tagliare la collaborazione con qualsiasi istituzione israeliana e i fondi di ogni genere per istituzioni ebraiche. Adesso, invece di condannare l'assedio alla sinagoga di Park East di dimostranti che l'hanno assediata con minacce di morte ha dichiarato che gli dispiaceva, ma che gli ebrei la stavano usando in modo illegale incontrando l'organizzazione "Anima ad anima" che si occupa di spiegare come funziona il passaggio in Israele. Ovvero per Mamdani è illegale l'idea di sionismo, la proibisce agli ebrei di New York, sulla falsariga della sua reinvenzione antisemita di movimento coloniale, imperialista, bianchi contro poveri indigeni. Il contrario della realtà storica.

L'incontro fra Mamdani e Trump è stato scherzoso, frivolo, un po' come quello del presidente con l'ex terrorista al Shaara, ora presidente siriano: un gioco continuo col fuoco, con un sorriso paterno. I nemici della libertà possono, senza che lui lo voglia, rovesciare il loro ruolo opportunisticamente simpatetico, tornare alla radice, rovinare ogni progetto. Trump mentre vuole arrivare alla seconda fase dell'accordo a Gaza, si pregia di gestire un buon rapporto con la Turchia e il Qatar, li tiene nel circolo della pace, ma si tratta di due imprevedibili nemici dell'Occidente, leader della Fratellanza Musulmana.

La domanda non è sulla buona fede di Trump, ma sulla sua possibilità effettiva di manovrare forze per le quali l'accordo è un intervallo nella grande rivoluzione antioccidentale per il potere: Putin, i movimenti islamici a New York come a Doha, non amano la libertà del 13° emendamento. Israele la ama e anche Zelensky: devono attrezzarsi a combattere tutta la battaglia, fino alla vittoria.

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