Politica

Libertà prigioniera della rete

Eccolo il paradosso di una Cina sempre più vicina all’Inferno: «Non credo che potrò mai votare per un presidente della Repubblica - è il messaggio spedito a una trasmissione televisiva cinese - ma almeno posso votare la ragazza che mi piace di più».
Il resto della storia l’ha già raccontato Giuseppe De Bellis sul Giornale di ieri: ossia che il programma Supergirls ha incollato al video 400 milioni di orientali e soprattutto li ha trascinati in un’apparente orgia democratica basata su televoto e dibattito sui giornali: membri del Partito con semplici cittadini.
Prime dimestichezze col liberalismo? Esercitazioni per una libera opinione? Nemmeno per idea: le autorità cinesi hanno già fatto capire che tale eccesso di confidenza consiglierà di non prorogare Supergirl nonostante il successo: per via del successo, cioè. Troppo pericoloso. Altra notizia di ieri: grazie alle informazioni fornite dal colosso informatico Yahoo!, la magistratura cinese ha individuato e condannato a dieci anni di prigione un giornalista che su alcuni siti internet stranieri aveva semplicemente raccontato che le autorità cinesi, in precedenza, avevano invitato a non commemorare il 15° anniversario di una particolare repressione contro alcuni gruppi che chiedevano democrazia: ciò è stato tradotto nell’accusa di aver divulgato «segreti di Stato di alto livello».
Ringraziamenti dunque a Yahoo!, perché i giornali si possono chiudere o controllare, le telefonate e gli sms si possono intercettare, le trasmissioni televisive appunto non prorogare: ma è su internet che si gioca la vera partita. E serve tecnologia. Reporter senza frontiere ha documentato che i dissidenti o i semplici navigatori arrestati dall’apposita cyberpolizia sono centinaia. Il numero dei navigatori cinesi raddoppia ogni sei mesi e con esso controlli e repressioni a ciò proporzionati: dunque leggi liberticide, cyberdissidenti incarcerati, siti bloccati, stretta sorveglianza dei forum di discussione, Internet caffè chiusi, una rete imbavagliata. La grande muraglia stavolta elettronica, in Cina, ha preso il nome di «Scudo dorato»: un progetto colossale e teoricamente segreto per cui i ministeri della Sicurezza e dell’Informazione hanno già disposto mezzi finanziari e umani notevolissimi (più di trentamila persone) così da proteggere lo Stato dai sedicenti eversivi.
Già nel gennaio del 2001 l’agenzia di stampa ufficiale Xinhua annunciava che chiunque si fosse trovato implicato in reati telematici avrebbe rischiato il carcere sino all’ergastolo e nondimeno la condanna a morte. L’Università di Harvard, dal maggio al novembre 2002, ha condotto uno studio su 204.000 siti che erano stati visitati tramite i motori di ricerca Google e Yahoo!, e ne è risultato che più di 50.000 siti erano stati resi inaccessibili. Si tratta in minor parte di siti porno e in maggior parte di informazioni sul Tibet, su Taiwan, sulla democrazia in generale, sui diritti umani, su associazioni come Amnesty International e Human Rights Watch, nondimeno tutti i siti di università americane oltreché quelli che trattano argomenti medici o religiosi, nonché, ovvio, quelli relativi a un totale di 923 giornali del mondo. Per violazioni più o meno gravi sono già stati chiusi, temporaneamente o definitivamente, 15mila internet café. Nei forum di discussione, il settanta per cento di quelle che possono sembrare «critiche» viene censurato e in seconda battuta c’è il rischio che ti vengano a prendere a casa. Basta per esempio digitare «4 giugno» (data del massacro di piazza Tienanmen) o «diritti umani» o «Bbc» oltre naturalmente a «sesso orale». Reporter senza Frontiere ha provato a digitare «libere elezioni» e dopo 14 minuti il messaggio è sparito. Ha chiesto, sempre in un forum, i motivi della chiusura di una rivista sinché il messaggio è sparito in meno di due minuti. Ha poi auspicato un dibattito sulla guerra in Irak e i filtri il messaggio non gliel’hanno neppure passato, non è stato proprio pubblicato.
Figurarsi se si osa di più. Il cittadino Wang Jinbo scrisse un messaggio che chiedeva al governo di rivedere la sua posizione sul movimento degli studenti del 1989: sette anni di carcere. Il giornalista Huang Qi invece fu misteriosamente rinchiuso in galera sinché, solo dopo novecento giorni, apprese che era stato condannato a un totale di cinque anni per aver lasciato pubblicare sul suo sito (ospitato negli Stati Uniti) alcuni articoli sempre sul massacro di piazza Tienanmen; un diplomatico europeo ha testimoniato di averlo intravisto svenuto e con una cicatrice sulla fronte e parzialmente sdentato in seguito alle percosse inflittegli dalle guardie carcerarie. Mentre Gao Qinrong, giornalista della stampa ufficiale, è stato invece condannato a tredici anni per aver pubblicato alcuni articoli sul fallimento di un progetto d’irrigazione nella regione di Yuncheng: aveva scoperto che i 60mila serbatoi costruiti non erano collegati ad alcuna presa d’acqua e che non disponevano di tubature per incanalarla nei campi: le autorità viceversa avevano presentato il progetto come «un trionfo sulla natura in questa regione arida».
Intanto la Microsoft di Bill Gates ha fornito ai cinesi dei portali addomesticati che impediscono l'uso di parole sgradite come «libertà», «democrazia», «diritti umani» ma anche «Tibet», «comunismo» e «Tienanmen». Così pure altre imprese occidentali come Cisco, Nortel e Sun hanno fornito sofisticate tecnologie per censurare il libero accesso a Internet. L’Occidente ha i mezzi.

La Cina ha i fini.

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